Wolfgang Schaeuble è morto pochi mesi fa. Chissà cosa avrebbe detto dopo avere osservato i dati elettorali in Germania dell’altro ieri. Anni fa, durante un incontro pubblico a cui partecipò da ministro delle Finanze tedesco insieme all’allora governatore della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, addebitò a quest’ultimo l’avanzata della destra radicale in patria. Sostenne che la sua politica monetaria fosse alla base del malcontento di molti tedeschi, cibo per l’AfD. Dalle elezioni europee, l’asse franco-tedesco esce a pezzi.

Il partito di Emmanuel Macron è stato doppiato dalla destra di Marine Le Pen e quello del cancelliere Olaf Scholz è colato a picco al terzo posto, dietro alla stessa AfD.

Tra whatever it takes e tassi negativi, Europa divisa

Avete presente la foto di Scholz, Macron e Draghi sul treno per Kiev? Cancellatela dalla memoria. Siamo entrati in un’altra fase. E per le ragioni che vi spiegheremo, l’italiano potrebbe aver perso quell’appeal di cui godeva ancora fino a domenica sera presso le istituzioni comunitarie. Non è un mistero che il presidente francese lo voglia come successore di Ursula von der Leyen. Tuttavia, Scholz non è nelle condizioni di avallarne la nomina. In primis, perché la Germania rimarrebbe a bocca asciutta nella spartizione delle principali cariche comunitarie. Secondariamente, perché Draghi evoca brutti ricordi tra i risparmiatori tedeschi.

Per noi italiani l’ex premier fu l’eroe del whatever it takes con cui salvò sia l’euro che i nostri titoli di stato. Per l’Europa del Nord resta colui che massacrò i risparmi a colpi di tassi negativi. La discussione sembrò un po’ troppo accademica fino a qualche anno addietro. In molti paventavano il rischio di un’ondata inflazionistica provocata da stimoli monetari divenuti troppo potenti. Tra questi la Bundesbank. Quando nel 2022 l’inflazione divenne un incubo innegabile, ecco che la BCE compì un passo indietro alzando i tassi e azzerando gli acquisti dei bond.

E le critiche mosse alle misure dell’era Draghi divennero più popolari.

Rabbia contro alta inflazione

L’asse franco-tedesco non se la passava bene neppure prima delle europee. Ora, però, è in coma profondo. I movimenti euroscettici hanno stravolto i rispettivi panorami politici nazionali. L’avanzata è stata netta e spesso vincente anche in contesti come Austria, Belgio, Olanda, Spagna, ecc. L’Italia con Giorgia Meloni aveva terremotato lo status quo già quasi due anni fa. Il denominatore comune di questi movimenti risiede nella critica alle politiche economiche portate avanti dai governi e dalla Commissione. L’inflazione ha diffuso rabbia ovunque e il resto lo hanno fatto scelte sciagurate come la transizione energetica avulsa dalla realtà.

Se nel Sud Europa l’inflazione è sempre un problema sottovalutato dalla classe politica, almeno sul piano teorico, nel Nord non si scherza. E poiché il fenomeno è messo in correlazione con l’era Draghi, ecco che la pressione sulla BCE sarà nei prossimi anni per non ripetere gli errori del passato. L’asse franco-tedesco, se reggerà ad eventuali sconvolgimenti politici parigini, non potrà ignorare un sentimento diffuso. Il problema è che Macron ha messo le mani avanti, chiedendo nei giorni scorsi alla BCE di tollerare tassi d’inflazione più alti cambiando lo statuto. Scholz non potrà acconsentire e, anzi, irrigidirà la propria posizione chiudendo a potenziali nuovi stimoli futuri.

Asse franco-tedesco meno draghiano?

Poiché la faccia di Draghi è accostata al problema dell’inflazione, ora che la destra è in grado di incidere sulle agende di diversi stati comunitari, le chance che l’ex premier possa presiedere la Commissione o il Consiglio europeo si riducono. A parte quanto detto, la sua fisionomia tecnocratica indisporrebbe molti conservatori e nazionalisti, sebbene Fratelli d’Italia possa chiudere un occhio in considerazione dell’interesse nazionale.

Chi pensa che l’asse franco-tedesco resti impassibile dinnanzi a quanto accaduto, si sbaglia. Non si tratta di sensibilità, bensì di puro spirito di sopravvivenza. Il messaggio fatto recapitare ai due leader europei è chiaro: non vogliamo il super stato UE proposto da Draghi, né le politiche da questi attuate quando era al timone della BCE. Se non hanno favorito l’inflazione, non sono servite a stimolare la crescita economica, semmai a concentrare ricchezza nelle mani dei soliti noti. Ed è questa rabbia che ha covato per anni fino all’epilogo di domenica sera.

[email protected]