Il caso Satnam Singh ha risvegliato le coscienze degli italiani rispetto al problema mai definitivamente risolto del caporalato nel settore agricolo. Il 31-enne indiano è rimasto vittima di un incidente sul lavoro, perdendo un braccio. Il suo datore di lavoro, anziché soccorrerlo, lo ha abbandonato davanti la porta di casa. Secondo gli inquirenti, che hanno ordinato il suo arresto, si sarebbe potuto salvare, specie tenendo conto che l’ospedale distasse appena 2 km dal campo in cui è avvenuto il terribile infortunio. E Oscar Farinetti, fondatore di Eataly, nei giorni passati ha voluto dire la sua sul tema, sostenendo che parte della colpa sarebbe niente di meno che del consumatore, reo di pretendere di comprare un barattolo di salsa di pomodoro a 70 centesimi.

“A meno di 1,20-1,30 euro non si possono produrre i pelati in Italia”, ha fatto presente.

Mutti difende il consumatore

L’accusa ha attirato le attenzioni di Francesco Mutti, a capo dell’omonima marca di pelati. Pur venendogli comodo sostenere che Farinetti abbia ragione, ha spiegato l’imprenditore, i prezzi minimi non andrebbero bene sui prodotti, in quanto danneggerebbero i consumatori. Egli ha aggiunto che serva, invece, un forte “presidio di legalità”.

Eataly di Farinetti nota per prezzi stratosferici

In pratica, per Farinetti il caporalato sarebbe colpa del consumatore, il quale vorrebbe acquistare i prodotti a prezzi talmente bassi, da incoraggiare l’illegalità e il mancato rispetto dei diritti dei lavoratori. Un’idea balzana per un uomo abituato a fare impresa, in quanto contravviene al principio elementare del mercato: ciascuna delle due parti punta a massimizzare il proprio benessere. Il consumatore vuole comprare a prezzi quanto più bassi possibili, mentre l’imprenditore vuole vendere a prezzi più alti possibili. L’incontro tra domanda e offerta determina il prezzo di equilibrio.

E’ così che funziona il mondo da sempre, ma Farinetti sembra non saperlo.

Accusa una parte del mercato di fare il proprio interesse. Del resto, parliamo di un imprenditore abituato a vendere prodotti a cifre esorbitanti con la scusa del km zero. Tempo fa vi davamo conto dei tagliolini al tartufo, offerti in un punto vendita a Mosca a circa 200 euro al chilo. Gli affari ultimamente non gli sono andati molto bene con Eataly, tanto che ha dovuto vendere il 52% della sua creatura al fondo Investindustrial. Perché quando i prezzi sono fuori mercato, hai voglia a gridare ai quattro venti di filiera corta e qualità del cibo. Il consumatore risponde con una pernacchia.

Servono controlli, ma non solo

Il caporalato è un fenomeno vecchio quanto il mondo. Esso consiste nell’intermediazione tra un produttore, nel nostro caso agricolo, e la manodopera. Quest’ultima viene ingaggiata indirettamente a condizioni illegali, con paghe risibili e quasi sempre con una sicurezza sul lavoro inesistente o quasi. Nel Sud Italia è stato particolarmente diffuso, sebbene negli ultimi decenni abbia riguardato perlopiù i lavoratori stranieri, clandestini in primis.

Farinetti vorrebbe che il consumatore si trasformasse in un poliziotto, mentre i controlli spettano allo stato. Se svariati prodotti arrivano sugli scaffali dei supermercati in barba alle leggi sul lavoro, la colpa è di chi li acquista o delle istituzioni carenti? Qual è il prezzo minimo, al di sopra del quale sarebbe garantito il rispetto delle regole? Nessuno è in grado di affermarlo con certezza. In un libero mercato concorrenziale, lo si determina secondo la suddetta regola della domanda e dell’offerta, fatti salvi i controlli. Sono questi a risultare scarsi o inesistenti e sono questi a dover essere potenziati. Il governo ha appena avviato le procedure per assumere nuovi ispettori del lavoro, riconoscendo esplicitamente che siano numericamente insufficienti. Da soli non basteranno. Dove pensiamo che vada a finire la manodopera a bassissimo costo che sbarca sulle coste italiane quasi tutti i giorni?

Consumatore non responsabile del caporalato

Cosa accadrebbe se il consumatore dovesse seguire l’invito di Farinetti? Comprerebbe ogni prodotto a prezzi più alti, ma alla fine del mese si ritroverebbe con soldi insufficienti per riempire il carrello della spesa come prima.

Risultato: i consumi diminuirebbero e l’economia andrebbe in malora, perché ci sarebbero produttori di beni e servizi a vendere di meno. Ciò che arriva sugli scaffali si presume che siano frutto di processi di produzione legali. Lo stato in primis ha il dovere di garantirlo e la grande distribuzione dovrebbe fare il resto, per quanto possibile. Il caporalato non si sconfigge colpendo il reddito già magro del consumatore, bensì aumentando la frequenza dei controlli e facendo sì che gli imprenditori fuori dalla legalità non siano più nelle condizioni di falsare il mercato. Il resto sono chiacchiere di chi è abituato a rivolgersi a una fetta di clientela col portafogli pieno.

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