Non c’è estate italiana senza polemiche sul caro ombrellone. E quest’anno ci ha pensato Flavio Briatore a scaldare gli animi, quando ha affermato che “60-80 euro per un ombrellone e due lettini” in Puglia sarebbero prezzi fuori dal mondo. A suo dire, non troverebbero corrispondenza nella qualità dei servizi offerti. La replica dei gestori non si è fatta attendere ed è stata di due tipi: “Briatore ha un conto in sospeso con la Puglia (Twiga, ndr)” e “l’offerta è differenziata, chi se ne approfitta non va lontano”.

Caro ombrellone e concessioni balneari

I darti ci dicono che nel Bel Paese esistono 12.166 concessioni balneari con un fatturato medio sui 260 mila euro. In tutto, quindi, il settore fatturerebbe quasi 3,2 miliardi. Da anni è nel mirino dell’Unione Europea con la direttiva Bolkestein, che impone la liberalizzazione dei servizi. Il governo italiano difende il settore, sostenendo che il bene spiaggia libera non sia scarso e, pertanto, che non esisterebbe la necessità di mettere a gara le concessioni.

Scarsa concorrenza e profitti alti

Più che il caro ombrellone, è la mentalità che vi sta sotto a doverci fare riflettere. C’è una categoria che di anno in anno ha la possibilità di scaricare sui clienti gli aumenti dei costi patiti e magari di arrotondare per eccesso. Può farlo non per un qualche merito particolare, bensì per carenza di concorrenza. Questa è data sia dalla disponibilità di spiagge libere nelle aree circostanti, sia dalla presenza di gestori concorrenti a sufficienza sempre nelle vicinanze.

Le aree a maggiore concentrazione turistica vedono di solito la più alta presenza di concessioni balneari. Le spiagge libere abbondano di più, invece, laddove le presenze turistiche risultano inferiori. Con le dovute eccezioni s’intende. Il caro ombrellone riguarda particolarmente le aree a maggiore intensità turistica. Si direbbe che sia la legge del mercato. Il problema è che non è spesso così.

Abbiamo un’imprenditoria che non teme di poter essere mai scalzata da operatori innovativi e magari più economici, semplicemente perché la durata delle concessioni è illimitata nel tempo.

Taxi esempio massimo di mercato chiuso

E’ un po’ la storia dei taxi: le tariffe sono care? In un mercato libero, si creerebbero le condizioni per l’ingresso di nuovi operatori. L’offerta aumenterebbe e i prezzi si abbasserebbero. Questo è impossibile in Italia, dove governo centrale e comuni non vogliono aumentare le licenze. Come per il caro ombrellone, anche i tassisti hanno l’opportunità di aumentare di anno in anno i prezzi senza rischiare alcunché. In pratica, l’economia italiana è diventata duale, anzi lo è da decenni. Ci sono categorie esposte alla concorrenza, che patiscono gli aumenti dei costi e spesso non riescono a scaricarli del tutto sui consumatori. I loro margini di profitto sono contenuti e tendono persino ad abbassarsi.

Caro ombrellone spia di un’Italia duale

Poi ci sono categorie “blindate” per legge. Rumorose, lamentose, possono stangare i clienti fino all’inverosimile. Non hanno alcuna concorrenza da temere. Sono l’Italia del caro ombrellone in barba ai redditi bassi, ai servizi spesso carenti, ai miserrimi canoni versati allo stato. Creano un forte danno d’immagine, poiché non di rado percepiscono i turisti stranieri come semplici polli da spennare. Non investono, non forniscono grande valore aggiunto al mercato locale del turismo, hanno spesso una vocazione predatoria dell’economia. Ma resistono fino all’inverosimile al buon senso e persino alle imposizioni legali. La loro immensa bravura sta nel fare massa sul piano politico ed evitare di soccombere, chiunque vinca le elezioni a ogni livello.

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