Se non siamo a una seconda ondata dei contagi in Europa, poco ci manca. Anzi, il numero dei positivi cresce giornalmente ai massimi da inizio pandemia in Spagna e Francia, i due paesi che attualmente risultano più colpiti, rispettivamente con picchi superiori ai 14 e ai 13 mila toccati negli ultimi giorni. Con oltre 4 mila casi quotidiani, anche il Regno Unito vede nero, tant’è che il governo di Boris Johnson ha già messo in quarantena 10 milioni di cittadini, sparsi tra Nord Inghilterra, Galles e Scozia.

Adesso, si valuta un secondo “lockdown” a Londra. Se accadesse, sarebbe la prima grande città al mondo a bissare la chiusura della primavera scorsa.

Paura per la risalita dei contagi in Europa, si torna a parlare di “lockdown”

Nel frattempo, Parigi e Marsiglia sono attenzionate dall’Eliseo per possibili nuove misure restrittive, mentre a Madrid i militari pattugliano le strade per vigilare sull’ottemperanza alle regole. Germania e Italia sono i due grandi paesi europei a passarsela meglio. Contagi e decessi in risalita anche qui, ma con numeri contenuti. Nel nostro Paese, i nuovi positivi superano i 1.500 al giorno, in Germania oscillano più ampiamente attorno allo stesso dato. Fuori dall’Europa, Israele ha reimposto il lockdown nazionale.

Cos’è accaduto dopo marzo

Sono tutti i segnali di un’emergenza sanitaria affatto superata. Il punto è chiedersi se le nostre economie possano permettersi nuove chiusure come quelle imposte tra marzo e aprile un po’ in tutta la sfera occidentale. La risposta è tutt’altro che scontata. Quando in primavera è stata limitata la mobilità e molte attività hanno dovuto chiudere temporaneamente per frenare i contagi, i governi sono scesi in campo con sforzi fiscali senza precedenti per entità e velocità di adozione, miranti a sostenere i redditi delle famiglie e delle stesse imprese.

Il boom del ricorso all’indebitamento ha spinto le banche centrali a offrire sostegno ai governi con politiche monetarie ultra-espansive, cioè con tagli ai tassi d’interesse e acquisti monstre di bond sovrani e corporate.

Grazie a queste azioni congiunte, gli extra deficit dovuti alla pandemia sono stati del tutto assorbiti dalla liquidità messa a disposizione dagli istituti. I costi di emissione si sono mantenuti uguali o sono persino diminuiti e questo sta consentendo a tutti i governi di prendersi il tempo necessario per lottare contro il Covid senza temere ripercussioni finanziarie severe.

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Le conseguenze di nuovi lockdown

E con un secondo lockdown? Il pil crollerebbe ulteriormente, la risalita dell’economia si allontanerebbe e servirebbero ancora più soldi pubblici per sopperire al minore gettito fiscale e finanziare le erogazioni a favore delle categorie colpite. Insomma, bisognerebbe fare ancora più debiti. Ripetendo lo schema attuato in questi mesi, le banche centrali li monetizzerebbero nei fatti con acquisti ancora più cospicui. Ora, bisogna chiedersi se queste azioni possano ripetersi all’infinito e senza preoccuparsi delle conseguenze.

Un secondo lockdown verosimilmente provocherebbe la chiusura definitiva di molte attività già oggi con l’acqua alla gola (bar, ristoranti, discoteche, agenzie viaggi, negozi, centri commerciali, etc.). Ciò aggraverebbe la crisi anche in prospettiva e determinerebbe una riduzione definitiva del pil. In sostanza, si ripartirebbe da livelli di produzione della ricchezza più bassi. Tuttavia, nel frattempo la liquidità in circolazione risulterebbe esplosa e questo rischierebbe di alimentare una spirale inflazionistica fuori controllo.

In conclusione, non sarebbe il debito la preoccupazione immediata dei governi nel caso di un ritorno alle misure restrittive della scorsa primavera, quanto le ripercussioni strutturali sulle rispettive economie. E le banche centrali temerebbero di perdere il controllo della stabilità dei prezzi, per cui riteniamo che difficilmente torneremo alle restrizioni imposte a marzo, semmai verranno circoscritte alle aree a rischio e/o applicate solo per parte della giornata, come nel caso dei coprifuochi serali.

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