Il Teroso, nel corso di martedì 13 dicembre, ha tenuto l’ultima asta dell’anno per le emissioni di debito pubblico. Ha raccolto 7 miliardi di euro attraverso titoli di stato a medio-lunga scadenza. Sarà in pausa solo per il periodo natalizio, perché con l’arrivo del 2023 il calendario delle emissioni s’infittisce. Quest’anno, ad esempio, arrivavano a scadenza bond per un controvalore di 369,54 miliardi di euro. Di questi, 141,7 miliardi sono stati BoT, cioè titoli a breve termine (massimo 12 mesi).

L’anno prossimo, risultano già in scadenza titoli del debito pubblico per 367,83 miliardi, di cui 104,76 miliardi si riferiscono ai BoT.

Tuttavia, mancano all’appello le emissioni di parte di questi ultimi. Mantenendo invariato l’ammontare complessivo, dovremmo attenderci scadenze totali per circa 410 miliardi.

Emissioni debito pubblico 2023

E le scadenze non esauriscono le emissioni necessarie. Ad esse vanno aggiunti i titoli del debito pubblico per finanziare il disavanzo fiscale. Il governo Meloni ha alzato il suo obiettivo al 4,5% del PIL, così da recuperare oltre una ventina di miliardi di euro di risorse per aiutare famiglie e imprese contro il caro bollette. Ciò, però, farà lievitare ulteriormente le emissioni lorde. Parliamo di una novantina di miliardi che andranno a sommarsi alle scadenze, portando il conto sui 500 miliardi. Da questo dato va detratto l’importo che il governo spera di incassare attraverso prestiti e sussidi con il PNRR (oltre 40 miliardi).

Tuttavia, essendo il piano condizionato alla realizzazione di numerose micro-riforme, le entrate di denaro attese non vanno considerate scontate. Già i ritardi di questi mesi nell’implementazione rischiano di rallentare l’intero iter per accedere ai fondi.

Al 30 novembre scorso, i titoli di stato in circolazione ammontavano a 2.290 miliardi e la loro vita media residua era di 7,12 anni. Attenzione, i bond non rappresentano l’intero debito pubblico italiano, che effettivamente a settembre si aggirava sopra 2.740 miliardi.

Ad essi devono sommarsi anche i prestiti ottenuti dagli enti locali tramite il sistema bancario, nonché le esposizioni dell’Italia verso l’Unione Europea e Banca d’Italia.

Sale spesa per interessi

Nei primi nove mesi di quest’anno, poi, il costo medio ponderato all’emissione è esploso all’1,31%, il dato più alto dal 2014, cioè da prima che l’allora governatore della BCE, Mario Draghi, varasse il “quantitative easing” con cui azzerò sostanzialmente gli interessi sul debito pubblico di nuova emissione. Era stato dello 0,10% nel 2021, il più basso di sempre. Tenendo presente questo incremento sulla montagna dei titoli del debito pubblico sin qui emessi, la maggiore spesa per interessi annua a regime si attesterebbe intorno ai 27,5 miliardi. E chiaramente, più lo stock aumenterà negli anni, maggiore l’aggravio per i conti pubblici. Rispetto al PIL atteso per il 2022, l’aumento futuro sarebbe nell’ordine di quasi un punto e mezzo percentuale.

Sono numeri che fanno tremare i polsi. E dire che siamo lontanissimi dai primi anni Duemila, quando il costo di emissione del debito pubblico sfiorava il 5%. D’altra parte, a novembre il Tesoro disponeva di quasi 52 miliardi di euro di liquidità, denaro che impiegherebbe all’occorrenza e che gli consentirebbe di rivolgersi un po’ meno al mercato nel caso in cui i costi diventassero proibitivi. Ma si tratterebbe di una pausa momentanea, di qualche settimana. Ai ritmi attuali, le emissioni viaggiano a 40 miliardi al mese. E il problema sarà convincere il mercato a prestarci queste cifre quando l’economia italiana rallenterà dopo il rimbalzo seguito alla pandemia. Già tira aria di recessione per il 2023. Tutto questo non solo senza più gli acquisti della BCE tramite il QE, ma anzi con tassi in rialzo e cessazione parziale dei riacquisti da parte di Francoforte.

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