Si avvicina la data del 18 luglio, quando sapremo se Ursula von der Leyen resterà presidente della Commissione europea per un secondo mandato. Sulla carta dispone di 399 voti a favore su 720, 38 in più della maggioranza assoluta di 361. Ma nel 2019 furono una sessantina i “franchi tiratori” e su una platea di deputati della maggioranza ben più vasta. La tedesca rischia di restare impallinata e per questo conduce da settimane, anzi da mesi, trattative più o meno riservate con gruppi politici esterni alla maggioranza e singole personalità.

Tra questi vi è la premier italiana Giorgia Meloni, che forte dei 24 deputati conquistati da Fratelli d’Italia e della sua leadership del gruppo dei conservatori ECR (pur con le fuoriuscite di queste settimane), punta ad ottenere un commissario italiano di peso nella prossima compagine.

Commissario italiano oggetto di trattative con Ursula von der Leyen

L’Italia è rimasta tagliata fuori dai “top jobs”: presidenza di Commissione, Consiglio ed Parlamento. Pur essendo stato fondatore dell’Unione Europea e tra le principali economie del continente, non ci è stata riservata alcuna posizione. Il cancelliere tedesco Olaf Scholz e il presidente francese Emmanuel Macron hanno voluto escludere Roma dai giochi, non riconoscendo alla nostra premier la legittimità politica di trattare sulle cariche principali.

Per Meloni la necessità di avere un commissario italiano con deleghe pesanti è avvertita. Restare fuori da chi gestisce i dossier più scottanti non è buona cosa. Risaputo. Negli anni nefasti della crisi dello spread, certe tensioni furono alimentati dalle dichiarazioni sgangherate e fuori dalle righe di commissari evidentemente non solo insensibili alle sorti di uno stato membro, ma anche poco avveduti. A quali deleghe punta la premier? Preferibilmente di natura economica. Sarebbe il massimo che avesse l’ultima parola sui bilanci, dunque gli Affari monetari come sino ad oggi con Paolo Gentiloni. Non meno importante è percepita la Concorrenza.

Pensate ai pasticci negli anni commessi dalla danese Margrethe Vestager, fin troppo precisina quando si tratta di esaminare dossier italiani (vedi Lufthansa e prima ancora la crisi bancaria).

I nomi in palio

Non dovesse strappare una delle due, Meloni vorrebbe che fosse l’immigrazione a spettare al commissario italiano. In alternativa, la Difesa. La carica non esiste ancora, ma dato il contesto geopolitico, sarebbe istituita con la nuova commissione. I nomi più papabili sono quelli di Raffaele Fitto, oggi ministro con delega sul Pnrr, e Francesco Lollobrigida, attualmente al Dicastero dell’Agricoltura. Ma anche Giancarlo Giorgetti, oggi all’Economia, andrebbe bene.

Fermo restando che meglio avere un commissario italiano di peso che non averlo, dobbiamo sgombrare il campo da un equivoco, ossia che mandando a Bruxelles qualcuno in un ruolo chiave, a Roma siamo coperti per fare ciò che vogliamo. I commissari non sono i difensori degli interessi nazionali. Sappiamo tutti che siano inclini a chiudere un occhio in favore del proprio Paese, ma non al punto di potergli consentire di trasgredire le regole basilari.

Italia debole su conti pubblici e mercato

Un commissario italiano che esamini i bilanci nazionali, non potrà avallare conti pubblici in aperta violazione del Patto di stabilità. Potrà attenuare i toni nelle sue richieste, giungere più facilmente a un accordo, ma non di più. E, soprattutto, lo stesso sarebbe “monitorato” dai suoi colleghi sui temi sensibili. Ad esempio, Gentiloni ha dovuto condividere il proprio operato con il vice-presidente lettone e “falco” Valdis Dombrovskis. Motivo? In Europa non si fidano dei nostri conti pubblici e, per estensione, dell’operato di un italiano in questa materia.

Alla Concorrenza sarebbe lo stesso, se non peggio. Come pensiamo di mandare a Bruxelles un commissario italiano che decida credibilmente sulla libertà del mercato, quando l’Italia viola la direttiva Bolkestein su taxi e stabilimenti balneari, tanto per dirne una? Pensiamo, forse, che un nostro compatriota possa esimerci dall’obbligo di aprire alla concorrenza in questi settori? Anche in questo caso potrebbe giocare sui tempi e sulle parole, ma la sostanza cambierebbe poco.

Commissario italiano di peso non basta

Meloni fa bene a rivendicare un commissario italiano in un posto chiave, ma perché è ciò che spetta all’Italia in qualità di uno degli stati comunitari più importanti da ogni punto di vista insieme a Germania e Francia. Sbaglierebbe i calcoli se pensasse che fosse un modo per aggirare i problemi. I debiti restano tali, chiunque sarà chiamato a leggerne i numeri. Altra cosa è concepire un atteggiamento diverso di Bruxelles nei nostri confronti. Esso passa per la ridefinizione degli equilibri geopolitici, anziché dalla semplice nomina di questo o quel commissario. E serviranno anni e l’impiego di abbondante capitale politico.

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