Unicredit ha annunciato che dal 2020 imporrà i tassi negativi sui conti correnti con giacenze superiori a 1 milione di euro. Pochi i clienti coinvolti, ma non per questo la misura deve essere sottovalutata nella sua portata, perché per la prima volta in Italia viene sdoganata l’ipotesi di chiedere soldi ai correntisti per consentire loro di depositare il denaro in banca. I conti correnti si trasformerebbero in una sorta di servizio di cassetta di sicurezza, salvo non offrire proprio la sicurezza.

Diversi i modi per dribblare la misura, che rischia di essere imitata dalle altre banche concorrenti (vedi link sotto). Ci chiediamo e chiediamo alle autorità preposte: come funzionerebbe sul piano fiscale con i tassi negativi?

Conti correnti Unicredit, le scappatoie ai tassi negativi della banca 

Lo stato sui risparmi degli italiani ci mangia parecchio. Non si accontenta di applicare l’imposta di bollo da 34,20 euro l’anno sulle giacenze sopra i 5.000 euro per i conti correnti e lo 0,2% per i conti deposito, pretende anche il 26% sui ogni provento di natura finanziaria, ad eccezione del 12,50% imposto sui rendimenti dei titoli di stato e alle aliquote di favore fissate anche per i prodotti di tipo previdenziale. Questo significa che oltre un quarto degli interessi maturati annualmente tramite conti correnti e deposito va al fisco. E con i tassi negativi?

Non esiste una norma che li regoli, semplicemente perché nessun legislatore ad oggi aveva previsto che saremmo mai arrivati a tanto, al fatto che chi presta denaro si ritrovi a pagare il debito. Un’inversione del ruoli, che sul piano economico diventa insensata, tranne che non fossimo in piena deflazione. Ma se è la banca a chiedere gli interessi al cliente, l’aliquota del 26% che fine farà? Non essendovi l’imponibile da tassare, chiaramente non agirà. Semmai, il reddito che la banca percepirà tramite i tassi negativi verrà sottoposto a tassazione insieme al resto dei proventi maturati dall’istituto con la sua attività di credito.

Credito d’imposta come sulle minusvalenze?

E il cliente/risparmiatore? Possiamo immaginare che il costo sostenuto si tramuti in un credito d’imposta, similmente a quanto oggi accade con le minusvalenze riportate a seguito di un investimento e che andrebbe usufruito entro 5 anni, compensandolo con imposte sui proventi finanziari, decorsi i quali sarebbe perso. Facciamo un esempio: il cliente Tizio ha un conto corrente da 2 milioni di euro (bontà sua!) e su cui la banca Alfa impone un tasso d’interesse del -0,50% sopra i 500.000 euro. Dopo un anno, quindi, dovrà corrispondere alla banca 7.500 euro (lo 0,50% di 1,5 milioni di euro), maturando un credito d’imposta di 1.950 euro (26% di 7.500). Esso potrebbe essere utilizzato per compensare eventuali imposte sui proventi finanziari dovute entro 5 anni. In teoria, se dopo un certo periodo la stessa banca, essendo mutate le condizioni di mercato, offrisse sul medesimo conto corrente lo 0,5% di interesse, il facoltoso cliente si ritroverebbe a pagare un’imposta di 1.950, che potrebbe azzerare con il credito disponibile.

Crediamo che questa sia la soluzione più logica, benché non sia detto che le cose vadano esattamente in questa direzione, né che le banche decidano mai di girare ai clienti i tassi negativi. Non ci resta che verificare cosa accadrà con Unicredit dal prossimo anno, quando la stangata sui conti correnti più alti obbligherà l’amministrazione fiscale a offrire risposte sul trattamento che intenderà imporre agli interessi all’incontrario.

Conti correnti a rischio, dietro c’è la mano di Draghi

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