Siete soddisfatti di avere salvato a colpi di tweet e hashtag il calcio romantico contro il tentativo della Superlega di creare un calcio europeo “elitario”? E allora dovreste tornare sui social a inveire contro il nuovo format di Coppa Italia. Altro non è che l’imitazione del modello Superlega contro cui si sono scagliati tifosi, società escluse, governi e UEFA. La riforma varata dal Consiglio di Lega prevede, infatti, che alla competizione partecipino solamente 40 squadre contro le 78 attuali. Saranno escluse le 29 società di Lega Pro (Serie C) e le 9 di Serie D.
L’obiettivo della Lega consiste nel focalizzarsi solamente sui “big match”. Non a caso, rimarranno a lottare per il trofeo di Coppa Italia le 20 squadre di Serie A e le altrettante di Serie B. Il fischio d’inizio per la prossima stagione sarà il 15 agosto, quando scenderanno subito in campo 12 squadre di Serie A, a differenza di quanto avvenuto sinora.
Quasi superfluo dirvi quali siano le motivazioni alla base di questa rivoluzione: i diritti TV. Per le stagioni 2018-2021, la RAI ha pagato 35 milioni di euro all’anno per le partite di Coppa Italia e Supercoppa. Adesso, la Lega mira ad elevare gli introiti ad almeno 40 milioni. E confida che a competere con la TV di stato vi sia Mediaset, sempre più interessata a tornare a trasmettere il calcio sulle sue reti.
Non stiamo parlando di un ritocco delle cifre eclatante. Del resto, l’appeal della Coppa Italia è quel che è. Il pubblico dei tifosi inizia a seguire le partite solo alle battute finali. Fatto sta che non vedremo più casi appassionanti come l’Alessandria in semifinale nel 2016 o il Bari nel 1984, arrivato anch’esso in semifinale. Mutatis mutandis, esattamente quello che la Superlega puntava a realizzare in Europa con la restrizione della competizione a soli 20 club, di cui 15 fissi e 5 su invito e presumibilmente in base a meriti sportivi.
Ma per il nuovo format di Coppa Italia, nessuno si è stracciato le vesti, nessuno ha chiesto le dimissioni di qualcun altro, né i governi sono scesi in campo a difendere “i valori del calcio”. Tu chiamala, se vuoi, “ipocrisia”.