La Relazione annuale della Banca d’Italia sull’economia è caduta ieri nello stesso giorno in cui l’ISTAT rivedeva al ribasso i numeri del pil italiano per il primo trimestre, con una crescita acquisita per il 2020 del -5,5%. Questo significa che, nel caso in cui il pil nei restanti tre trimestri non variasse sul piano congiunturale, la nostra economia si contrarrebbe di tale percentuale. Ma il pil è atteso al collasso proprio nel periodo aprile-giugno, per cui il -8% atteso dal governo con l’ultima revisione effettuata nel Def per il 2020 appare ottimistico.

Il governatore Ignazio Visco ha stimato la contrazione tra un -9% e un -13%. Quest’ultimo dato è stato commentato dallo stesso come frutto di “ipotesi più negative, anche se non estreme”. Uscendo fuori dal linguaggio istituzionale, ha voluto spiegare che lo scenario peggiore sinora ipotizzato sia tutt’altro che remoto e verrebbe seguito da una ripresa per il prossimo anno “lenta”.

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Goldman Sachs aveva stimato nei mesi scorsi un pesante -11,6% per l’Italia. Cosa significherebbe il -13% paventato da Visco? In cifre, il valore del pil crollerebbe a 1.550 miliardi di euro, ipotizzando anche un’inflazione nulla. Sarebbe il livello più basso dal 2006, rispetto al quale, però, in termini reali risulterebbe di quasi il 18% più basso. A maggio, tanto per fare un esempio, i prezzi sono diminuiti mensilmente e annualmente dello 0,1%. Dunque, altre variazioni negative farebbero scivolare l’Italia nella deflazione, pur contenuta. Essa avrebbe un impatto negativo sugli indicatori macro, perché il valore nominale del pil scenderebbe ulteriormente e farebbe impennare ancora di più deficit e debito pubblico.

Conti pubblici in piena crisi

E andiamo proprio ai conti pubblici. Il governo ha messo sinora in campo misure di sostegno ai redditi per complessivi 80 miliardi, un disavanzo fiscale extra che si aggiunge ai circa 45 miliardi già preventivati per il 2020 con la legge di Stabilità, prima che nemmeno si conoscesse la parola Coronavirus.

Inoltre, poiché il pil nominale crollerebbe di circa 230 miliardi, il minore gettito fiscale atteso sarebbe di non meno di 97 miliardi. In totale, il deficit esploderebbe a circa 220 miliardi, pari al 14% del pil. Il debito si sarà portato nel frattempo a circa 2.630 miliardi, equivalente al 170% del pil. E non possiamo escludere che la crisi più dura delle già pessime previsioni non costringano il governo a intervenire con altre misure in deficit, sempre che i mercati finanziari ci accordino ancora la loro fiducia.

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Poiché negli altri paesi andrà solo un po’ meglio, con l’Eurozona che dovrebbe arretrare tra l’8% e il 12%, stando alla BCE, diremmo che “mal comune, mezzo gaudio”. Il problema è che i nostri margini fiscali risultano nettamente inferiori, a causa dei livelli di indebitamento già alti prima della pandemia e, soprattutto, la ripresa economica da noi rischia di essere più lenta. Ciò si porterebbe dietro due conseguenze devastanti: distruzione a lungo termine di posti di lavoro e crisi fiscale. Al contrario, più velocemente un’economia riesce a uscire dalla crisi e più il “buco” di bilancio da questa provocato si rimargina e i recuperi della produzione ricreano occupazione. Ma l’Italia partiva con un -4% di pil reale rispetto al lontano 2007. Il timore che siamo precipitati in una depressione simile a quella vissuta dall’Occidente dopo la crisi del 1929 si fa ogni giorno più fondato.

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