Gli elettori hanno detto “Basta!” dopo decenni di malgoverno che hanno ridotto l’Argentina in una barzelletta del mondo, sinonimo di bancarotta, corruzione e inefficienza pubblica. E dire che agli inizi del Novecento fosse una delle principali economie del pianeta. A polverizzarne la ricchezza è stata l’insaziabile fame di debiti dei suoi governanti, che in poco più di 200 anni di storia sono riusciti nell’impresa di provocare nove default. E il decimo è nell’aria. Sarà la dollarizzazione del presidente eletto Javier Milei a fermare questa china apparentemente irreversibile?

Dollarizzazione senza dollari

Ci sono buone argomentazioni da parte di chi eccepisce che non puoi rimpiazzare i pesos con una valuta che possiedi col contagocce.

Le riserve valutarie dell’Argentina sono scese sotto 19 miliardi di dollari ad ottobre, ma quelle nette si stimano a -5 miliardi. Praticamente, togliendo i prestiti tramite principalmente operazioni swap, la banca centrale è in rosso. Per questo, in campagna elettorale il team economico di Milei ha prospettato un periodo di transizione di 18-24 mesi, il tempo che la svalutazione del cambio accresca a sufficienza le riserve valutarie per arrivare all’ambita dollarizzazione. Inoltre, questa spegnerebbe l’inflazione e attirerebbe capitali esteri da una parte, mentre dall’altra rischierebbe di indebolire la competitività dell’economia nel lungo periodo.

Con Milei fine del peronismo?

Ma gli argentini hanno detto che è ora di smetterla con i pallativi. Domenica scorsa, hanno votato per smantellare un sistema che non si regge più in piedi, perlomeno non a vantaggio loro. Nella notte storica, che ha portato a furor di popolo Milei a Casa Rosada, il nuovo capo dello stato ha ribadito i concetti chiave della sua agenda politica: libero commercio, libertà economica, maggiore tutela dei diritti di proprietà, fine dell’assistenzialismo statale. Tutto l’opposto di un programma populista. Sembrava sentire parlare la signora Margaret Thatcher, che da queste parti non è molto amata per ovvie ragioni, oppure Ronald Reagan.

La dollarizzazione è temutissima a Buenos Aires, ma non dai cittadini, bensì dalla “casta” politica. Segnerebbe la fine irreversibile del peronismo. Alla banca centrale sarebbe tolta la possibilità di stampare moneta per finanziare le spese in deficit dei governi. In un solo colpo, basta più inflazione e debiti. Sarebbero ripristinate la stabilità dei prezzi e la disciplina di bilancio. Certo, Buenos Aires si troverebbe le mani legate in politica monetaria. Non deciderebbe più nulla sui tassi di interesse, dovendo seguire pedissequamente la Federal Reserve, la quale decide in base all’andamento dell’economia americana. E quest’ultima potrebbe vivere cicli sfasati rispetto all’economia argentina.

I mali dell’Argentina

Tuttavia, stiamo ragionando come se partissimo da condizioni di benessere, quando abbiamo un’inflazione sopra il 140% e una povertà al 40%. In più, la dollarizzazione costringerebbe l’Argentina a diventare competitiva senza più fare affidamento alle frequenti svalutazioni della sua storia. Forbes elenca alcune cause della sua povertà odierna. Secondo l’Indice di Libertà Economica, figura in posizione 140 su 176 paesi al mondo; sulle Barriere Commerciali all’Ingresso è 80-esima su 88 posizioni e sulla Tutela dei Diritti di Proprietà 95-esima su 125.

In pratica, il peronismo ha trasformato l’Argentina in un’economia socialista, ingessata, inaffidabile, inefficiente, povera e indebitata. Solo una soluzione radicale può cambiare il destino di questo splendido paese del Sud America. Non esiste motivo per cui non possa essere ricco, abbondando di numerose materie prime, tra cui il prezioso litio con cui nei decenni prossimi fabbricheremo sempre più auto elettriche.

Dollarizzazione svolta irreversibile

Senza radicalismo, il rischio è di tornare alla presidenza Macri, alleato del presidente eletto Milei. Questi voleva rivoltare l’economia come un calzino, ma dovette arrendersi al “business as usual” e finì per concludere il mandato nel 2019 in piena crisi finanziaria ed economica, consegnando le chiavi del potere all’inetto Alberto Fernandez.

Gli ultimi quattro anni sono stati gestiti in modo così pessimo, che il capo dello stato uscente non ha avuto nemmeno il coraggio di ripresentarsi e metterci la faccia.

Se Milei riuscirà a implementare la dollarizzazione dell’Argentina, avrà dimostrato al resto del mondo che si può cambiare con soluzioni forti e impavide. L’aspetto paradossale sarebbe che questo processo avverrebbe mentre gli Stati Uniti sono percepiti da tempo come un pessimo esempio di lassismo fiscale e dello stesso dollaro come valuta di riserva mondiale dubitano i nuovi (già ex?) alleati di Buenos Aires, i famosi Brics. L’allievo dovrà comportarsi molto meglio del maestro.

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