E’ tornato ad allargarsi sopra 80 punti base o 0,80% lo spread tra i titoli di stato francesi e quelli tedeschi. Era in area 60 punti prima delle elezioni europee. I mercati sono da settimane in fibrillazione per l’esito delle elezioni anticipate volute dal presidente Emmanuel Macron per domenica 30 giugno. E dopo anni si torna a parlare in Europa di crisi del debito sovrano. Espressione infausta, che sembravamo esserci lasciati alle spalle e che pensavamo riguardasse ormai solamente l’Italia. Invece, il prossimo terremoto potrebbe avere come epicentro proprio Parigi.

E questo può accadere indipendentemente da chi uscirà vittorioso dalle urne transalpine.

Crisi debito spento da Draghi a colpi di liquidità

La crisi del debito sovrano esplose tra il 2010 e il 2011 nel Sud Europa più Irlanda (famosi Piigs), a causa del crac di Dublino, Atene e Lisbona. L’euro fu sull’orlo della sparizione, se non fosse per quel whatever it takes pronunciato dal governatore della Banca Centrale Europea (BCE), Mario Draghi, alla fine di luglio del 2012. Le tensioni non mancarono negli anni successivi: nel 2015 con il rischio Grexit sotto il governo Tsipras; nel 2018-’19 con la nascita del primo governo di Giuseppe Conte a maggioranza giallo-verde; nel 2020 con il “lockdown” italiano a seguito della pandemia.

La BCE spense l’incendio ricorrendo al Quantitative Easing sin dal 2015 e le aste T-Ltro, rafforzati con il Covid dal Pepp. Fiumi di liquidità iniettati sui mercati per calmierare i rendimenti e sperare che l’inflazione risalisse per ridurre i rapporti debito/Pil. Si verificò solo la prima parte, mentre l’inflazione esplodeva tra il 2021 e il 2022 a seguito di due condizioni principali: ripresa dei consumi dopo le restrizioni nazionali e potenti stimoli fiscali elargiti dai governi.

Governi opportunisti

In oltre un decennio di estremo allentamento monetario, la propensione all’indebitamento degli stati non è affatto venuta meno.

Le economie direttamente esposte alla crisi del debito si diedero una relativa e (generalmente) temporanea calmata con politiche di risanamento dei conti pubblici più evidenti. Le altre, Francia in testa, proseguirono a spandere e spendere come prima, più di prima. La Francia aveva un debito pubblico al 65% prima della crisi finanziaria globale del 2008-’09. Attualmente, supera il 110%. Con il presidente Macron, propugnatore di un corposo piano di riforme macroeconomiche, i disavanzi fiscali non sono rientrati, complice anche la pandemia, mentre la spesa pubblica continua a superare il 57% del Pil.

In Francia finite ambiguità

I mercati temono che la vittoria di Marine Le Pen o del fronte di sinistra dilati ulteriormente la spesa e/o riduca le entrate fiscali. Anche se al governo restassero i centristi, ragionano, non ci sarebbero più le condizioni politiche per adottare politiche di miglioramento dei saldi di bilancio. Per questo stanno riprezzando gli Oat, scontando un maggiore rischio di credito. Lo scenario avverso, se si verificasse, travalicherebbe le Alpi per sconfinare in Italia e nel resto del Sud Europa. Sarebbe una seconda gigantesca crisi del debito continentale.

Fanno bene a temerla. I nodi sono venuti tutti al pettine. La politica monetaria aveva comprato tempo in favore dei governi, sperando che questi ne approfittassero per implementare le riforme e ridurre i rispettivi disavanzi. Si sono semplicemente adagiati sugli allori. La Francia ha immaginato di poter sfuggire per sempre al giudizio dei mercati, additando l’Italia come capro espiatorio con sorrisetti maliziosi in conferenza stampa e arruffianandosi i “falchi” tedeschi. Ha funzionato fino a quando le condizioni politiche sono cambiate, mostrando in diretta planetaria che il re è nudo.

Test per scudo anti-spread

Cosa accadrebbe con un’eventuale nuova crisi del debito scatenata dalla Francia? In teoria, ci attenderemmo che la BCE di Madame Christine Lagarde intervenisse per spegnere a maggior ragione l’incendio casalingo.

A differenza del 2011, tuttavia, l’inflazione è tornata a rappresentare un rischio per l’Eurozona. Se da un lato i margini per tagliare ulteriormente i tassi di interesse vi sarebbero, dall’altro bisogna fare attenzione a non eccedere nelle iniezioni di liquidità. Lo stesso scudo anti-spread (TPI) messo a punto nel luglio 2022 prevede acquisti dei bond oggetto di speculazione fino al punto di non interferire con la politica monetaria. In parole semplici, gli spread non si potranno contrastare minacciando la stabilità dei prezzi.

Crisi del debito senza Draghi

Due le alternative possibili: o la BCE trasgredisce le sue stesse regole con l’annuncio di acquisti realmente illimitati o si attiene ad esse con la speranza che ai mercati basti la minaccia per deporre le armi. Insomma, Lagarde dovrà sperare di risultare almeno credibile quanto lo fu il suo predecessore una dozzina di anni fa. Finora non è sembrata alla sua altezza. La crisi del debito divamperebbe senza un pompiere sufficientemente attrezzato per spegnerlo.

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