Cuba non riesce ad uscire dalla crisi economica devastante in cui è precipitata negli ultimi anni. Il ministro dell’Economia, Alejandro Gil, stima che l’inflazione stia viaggiando al 45%, sopra la media del 39% l’anno scorso, pur in calo dal 70% di due anni fa. Gli economisti indipendenti ritengono che il regime comunista stia deliberatamente sottostimando l’aumento dei prezzi, ignorando la loro dinamica nell’ampio mercato informale. La Banca Centrale Cubana ha adottato qualche contromisura la scorsa settimana. Ha messo al bando l’uso del contante per le imprese statali e i pagamenti tra queste e imprese private potranno avvenire cash fino all’importo massimo di 5.000 pesos.

La misura sarà implementata gradualmente nel giro di sei mesi.

Crisi Cuba a due anni e mezzo da maxi-svalutazione

I 5.000 pesos sopra indicati possono valere circa 208 dollari al tasso di cambio ufficiale di 1:24, ma scendono a meno di 42 dollari secondo il tasso di cambio usato per i turisti e alcuni residenti e imprese locali. Infine, parliamo di meno di 22 dollari stando al cambio vigente al mercato nero. A L’Avana la confusione regna sovrana su questo tema. Ad inizio 2021, Cuba dà vita ad una riforma monetaria attesa da decenni, ma implementata nel momento più sbagliato possibile. Erano i mesi della pandemia, delle restrizioni internazionali al turismo e del conseguente crollo di presenze straniere e dollari sull’isola.

La riforma abolì il peso convertibile (CUC), lasciando in circolazione solo il peso cubano (CUP). Questi veniva fissato a 24 contro 1 dollaro. In precedenza, 1 CUC equivaleva per legge a 1 dollaro. Di fatto, una svalutazione del 96%. I prezzi dei prodotti sugli scaffali di supermercati e negozi esplosero sin da subito, anche perché con la crisi i dollari in entrata diminuivano e le importazioni diventavano sempre più carenti e costose. L’aspetto più grave per l’economia domestica è che il cambio svalutato stesso è stato sin da subito ritenuto ancora troppo forte da cittadini e imprese.

Al mercato nero, le transazioni avvennero a tassi di cambio anche quadrupli.

Cambio collassato al mercato nero

Preso atto del fallimento, la banca centrale di recente ha istituito un cambio di 1:120 per determinate categorie di persone e società. Troppo tardi. Al mercato nero, attualmente, 1 dollaro vale 230 pesos cubani. E l’istituto non ha valuta straniera a sufficienza da offrire a chi la richiede. Complici le sanzioni internazionali imposte dall’amministrazione Trump nel 2020, che complicano l’invio delle rimesse degli emigranti, seconda fonte di accesso ai dollari dopo il turismo.

Ma la crisi di Cuba è essenzialmente auto-inflitta. Dopo l’annunciata parziale liberalizzazione del settore privato già tre anni fa, di quel progetto è stato attuato pochissimo. Lo stato resta il principale datore di lavoro dei cubani, ovviamente con retribuzioni da fame. Guadagnare l’equivalente di 20 dollari al mese è la norma. Il potere di acquisto è imploso negli ultimi anni e la miseria dilaga sull’isola.

Lotta al contante per inasprire controlli sui prezzi

Cosa c’entra questo con la lotta al contante? Il regime spera di controllare così una più vasta gamma di transazioni, in modo da monitorare i prezzi a cui avvengono le compravendite di prodotti e servizi. Essendo stati imposti limiti stringenti ai prezzi e che ad oggi non hanno funzionato, il governo confida in una sorta di auto-controllo da parte delle categorie. Ma la verità è che l’economia continua ad andare a rotoli. E’ cresciuta dell’1,8% nel primo semestre di quest’anno, restando ancora in perdita dell’8% rispetto ai livelli pre-Covid.

Importazioni ed esportazioni si mostrano poco dinamiche, segno che la domanda interna sia anemica e che la ripresa del turismo non sia avvenuta appieno. Il boom di espatri nell’ultimo biennio la dice lunga sulle condizioni economiche in cui versa l’isola.

Quasi 300 mila persone hanno raggiunto gli Stati Uniti dall’ottobre del 2021 alla fine del 2022. Parliamo di oltre il 2% della popolazione cubana. Un esodo biblico, figlio anche della crescente disillusione verso una democratizzazione di Cuba dopo la lunghissima era dei Castro al potere.

Crisi Cuba anche ai seggi

Uno scoramento che ha spinto centinaia di migliaia di cittadini a sfidare la dittatura disertando le elezioni comunali nell’autunno passato e a quelle per il rinnovo parlamentari della scorsa primavera. L’astensionismo è stato rispettivamente del 32% e del 24%. E dire che la partecipazione al voto sia formalmente obbligatoria. Non recarsi ai seggi può essere interpretato come segno di opposizione e comportare conseguenze assai negative. Ma le elezioni sono una farsa e l’economia va di male in peggio. Molti cubani hanno deciso o di abbandonare l’isola o di alzare la testa. Le proteste del luglio 2021 sono state la spia di un malessere che ormai stenta ad essere represso con la solita brutalità dei militari. E se il presidente Miguel Diaz-Canel sperava nell’allentamento dell’embargo da parte dell’amministrazione Biden, le sue aspettative sono andate deluse. A Washington nessuno vuole dare una mano a una dittatura sempre più in crisi di consenso.

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