Il buon momento per l’economia italiana non sta passando inosservato all’estero, dove gli organismi internazionali lodano la lungimiranza del governo Draghi e guardano positivamente alle prospettive di crescita del Bel Paese. Il PIL quest’anno dovrebbe crescere del 6% e nel 2022 del 4,7%. Sebbene questi dati arrivino dopo il -8,9% del 2020, l’entità del rimbalzo è innegabile. Del resto, nel 2008 perdemmo un punto di PIL e l’anno seguente circa 5 e mezzo a causa della crisi finanziaria mondiale. Ma nel 2010, il rimbalzo fu di un modesto +1,7% e l’anno successivo ancora non arrivò all’1%.

Ciononostante, pesano vari rischi sull’economia italiana. E uno dei più seri potrebbe arrivare dalla Germania, dove l’attuale ministro delle Finanze, Olaf Scholz, è riuscito ad avviare le trattative con Verdi e liberali dell’FDP per formare il nuovo governo. Il socialdemocratico si starebbe così assicurando la cancelleria. Per quanto l’esito del negoziato non sarà né breve e né scontato, le probabilità di successo appaiono elevate, anche perché nell’altro campo, tra i conservatori orfani di Angela Merkel, regna il vuoto politico.

La principale difficoltà per Scholz sarà mettere d’accordo le istanze pro-ambiente dei Verdi con quelle pro-business dei liberali. I primi chiedono investimenti massicci a favore della transizione ecologica e trovano porte aperte tra i socialdemocratici. I secondi, però, oppongono una visione austera sui conti pubblici e chiedono che sia ripristinata al più presto la regola costituzionale dello Schwarze Null, ossia il pareggio di bilancio. Alla fine, una soluzione si troverà. Il leader liberale Christian Lindner ha l’esigenza di far tornare il suo partito al governo dopo otto anni. I Verdi devono capitalizzare il successo alle elezioni federali, altrimenti perderanno la fiducia della base.

Economia italiana esposta al vento della politica in Germania

Tutto vero, ma nel frattempo l’economia tedesca mostra qualche segnale preoccupante.

I prezzi alla produzione in Germania a settembre sono saliti del 14,2% su base annua, mai così tanto dall’inizio delle rilevazioni nel 1977. E le aspettative d’inflazione, captate dal “breakeven” a 10 anni del Bund, sono salite a ridosso del 2% e ai massimi da otto anni e mezzo. L’inflazione a settembre, invece, ha già superato il 4%, il doppio del target BCE. Per quanto si tratterebbe di un fenomeno transitorio, legato alle strozzature dell’offerta e al boom delle materie prime, appare obiettivamente difficile che, in queste condizioni, il governo tedesco possa annunciare un piano di maxi-stimoli fiscali.

L’economia tedesca rischierebbe di surriscaldarsi eccessivamente, destabilizzando i prezzi interni e, di riflesso, spingendo la BCE ad accelerare i piani di riduzione degli stimoli monetari. A meno che non avvenga sottobanco una sorta di baratto tra Berlino e Francoforte: varo di investimenti pubblici in deficit e perlopiù a favore dell’ambiente, ma con la garanzia che la BCE nel frattempo si adoperi a frenare l’inflazione. E questo vorrebbe dire una riduzione più veloce degli acquisti dei bond con il PEPP e minore potenziamento del “quantitative easing” dopo che l’altro programma sarà cessato tra pochi mesi.

In altre parole, l’economia italiana è esposta alle vicissitudini della politica in Germania. Se la regola del deficit sarà infranta anche nei prossimi anni, aspettiamoci una stretta monetaria per calmierare i prezzi. Qualora anche il nuovo governo seguirà l’ortodossia fiscale di merkeliana memoria, ad essere ripristinato in fretta sarebbe il Patto di stabilità, possibilmente alla vecchia maniera. E per l’Italia significherebbe tornare a fare i compiti a casa più velocemente delle attese.

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