Non fanno più i frigoriferi di una volta. Lo abbiamo sentito dire e lo abbiamo tutti pensato probabilmente almeno una volta. In scia a questo sentimento diffuso, Altroconsumo ha ingaggiato una battaglia contro la cosiddetta “obsolescenza programmata”, attraverso test indipendenti tesi a denunciare eventuali abusi ai danni dei consumatori e perpetrati deliberatamente dalle società produttrici di elettrodomestici ed elettronica di consumo. Parliamo della produzione di beni, la cui durata verrebbe volutamente accorciata, così da ridurne il ciclo vitale e favorire una maggiore frequenza dei ricambi sul mercato.

In parole povere, produco un frigo che potrebbe durare 20 anni, ma faccio in modo che non arrivi oltre 10 anni, così che il consumatore nell’arco della sua vita sia costretto a comprarne in quantità doppia.

Sin dal 2016, in Francia è considerato reato un simile comportamento delle aziende, qualora fosse accertato. E dallo scorso anno, un’altra legge assegna a ogni bene durevole un punteggio da 1 a 10 per segnalarne durabilità e costi di ricambio. In Italia, a settembre è stato presentato un disegno di legge al Senato per imporre alle aziende costi minori per la sostituzione di pezzi e una garanzia minima di 10 anni. Le aziende che sarebbero oggetto della misura hanno avvertito che essa rischia di innalzare i costi e di far pagare di più il consumatore.

Partiamo da una domanda: l’obsolescenza programmata esiste davvero? Non è una risposta semplice. Se intendiamo che un’azienda punti ad accorciare la durata attesa del suo prodotto, così da venderne di più, ci ritroveremmo in questa casistica. Tuttavia, è difficile valutare e provare che le cose stiano così, anche perché dietro alla deliberata produzione di beni a durata limitata potrebbero esservi ragioni tutt’altro che sconsiderate. Immaginate di trovarvi nei panni di un’azienda che produce frigo e che sa che, impiegando i migliori materiali e la tecnologia più avanzata, esso durerebbe mediamente non meno di 20 anni, ma al contempo costerebbe troppo per le tasche dei consumatori medi.

E allora opta per produrre frigo con materiali più scadenti e tecnologia limitata, così da accorciarne la durata, ma anche i costi, consentendo l’acquisto a un mercato più ampio.

Obsolescenza programmata, truffa ai danni del consumatore o beneficio per tutti?

L’altro volto dell’obsolescenza programmata

Sarebbe da perseguire per obsolescenza programmata? A volerla dire tutta, essa ha consentito negli ultimi decenni a un largo numero di persone di acquistare beni, che altrimenti avrebbero richiesto maggiori sacrifici economici. Negli anni Cinquanta e Sessanta è probabile che si producessero frigo più duraturi, ma quanti potevano permetterseli? E quante giornate di lavoro in più di oggi servivano per acquistarlo? A fine anni Cinquanta, meno di un settimo degli italiani possedeva un frigo e meno di un trentesimo una lavatrice. Nel 1954, il primo costava 6 mesi di lavoro, oggi la media di 6 giorni. Con lo stipendio di un anno, allora potevate comprarne un paio, oggi oltre una cinquantina. Pensate ancora che ci sia andata male?

E non è tutto. Un bene potrebbe anche essere prodotto per durare meno del suo potenziale massimo, ma il gioco non è detto che varrebbe la candela. Ad esempio, i costi di riparazione/sostituzione diverrebbero nel tempo poco convenienti, dato che l’alternativa sarebbe di acquistare un prodotto nuovo a costi contenuti, non necessariamente un ultimo modello. E il discorso vale particolarmente per l’elettronica di consumo. I telefonini evidentemente durano pochissimi anni, quando i “mattoni” venduti negli anni Novanta e che ci consentivano appena di chiamare, ricevere chiamate e inviare/ricevere messaggi ancora oggi si vedono qualche volta in giro funzionanti. Ma avrebbe senso continuare a supportare il software con aggiornamenti continui quando il prodotto è diventato vecchio, rischiando di rallentarlo fino a renderlo nei fatti inutilizzabile?

Non stiamo sostenendo che l’obsolescenza programmata non esista o che sia sempre cosa buona e giusta, semmai che bisogna rifuggire da ragionamenti e legislazioni semplicistici, che pur mossi da buone intenzioni, provocano ripercussioni negative per i consumatori che si vorrebbero tutelare, oltre che per i lavoratori addetti all’ideazione, alla progettazione, alla fabbricazione e alla commercializzazione dei beni durevoli.

Lasciamo che sia il mercato a punire chi bara, avvalendosi di un’informazione diffusa corretta e accessibile, l’unica che dovremmo sostenere per riequilibrare i rapporti di forza tra domanda e offerta, spesso sbilanciati a favore della seconda per evidenti asimmetrie informative.

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