Il debito pubblico italiano è cresciuto di altri 105 miliardi di euro nel 2021, per l’esattezza di 104,9 miliardi. A dirlo è il Supplemento finanziario al Bollettino statistico mensile della Banca d’Italia. Lo stock è lievitato a 2.678,4 miliardi. Durante lo scorso anno, il fabbisogno delle Amministrazioni pubbliche è stato di 92,1 miliardi, mentre le disponibilità liquide del Tesoro sono aumentate di 5 miliardi a 47,5 miliardi. Infine, scarti/premi di emissione, variazione dei tassi di cambio e inflazione hanno accresciuto il debito di altri 7,8 miliardi.

Per quanto si tratti di cifre in sé abbastanza elevate, rispetto alle previsioni possiamo affermare senza ombra di dubbio che la situazione si sia rivelata nettamente migliore.

Il governo Draghi aveva stimato nella sua Nota di aggiornamento al DEF di settembre un debito pubblico al 153,5% del PIL per il 2021. In valore assoluto, tenuto conto del PIL atteso a 1.779,3 miliardi, lo stock sarebbe dovuto aumentare fino a oltre 2.731 miliardi. Il disavanzo fiscale nel periodo sarebbe stato di quasi 158 miliardi. A conti fatti, risulterebbe sceso dal 9,5% del 2020 al 5,7%, nettamente sotto il 9,4% previsto.

Debito pubblico sotto 150% del PIL

Infatti, è risultato quasi 53 miliardi più basso delle stime. A salire più velocemente delle previsioni è stato, invece, il PIL. La crescita reale è stata del 6,5%, a fronte di un’inflazione dell’1,9%. Pertanto, lo stimiamo in valore assoluto nell’ordine dei 1.792,5 miliardi. Con queste grandezze, il rapporto debito/PIL risulterebbe sceso al 149,4% dal 155,6% del 2020. Scendiamo sotto la soglia psicologica del 150% con un anno di anticipo. Presto per gioire, dato che nel frattempo lo spread ha superato i 170 punti base e i rendimenti stanno risalendo drasticamente. Ad ogni modo, per i contribuenti si tratta di buone notizie. Il peso che grava sulle loro spalle è un po’ meno gravoso delle aspettative.

Altro aspetto positivo riguarda l’allungamento della durata media del debito pubblico a 7,6 anni a fine 2021 dai 7,4 anni del 2020. Questo implica che ogni anno la quota di stock da rifinanziare tende a ridursi e ciò frena anche l’aumento della spesa per interessi rispetto al PIL.

Mettiamo anche che un quarto del debito (25,3% a dicembre dal 21,6% di un anno prima) è nelle mani di Bankitalia, attraverso i programmi di acquisto dei bond noti come “quantitative easing” e PEPP. A fine gennaio, tramite di essi la BCE deteneva rispettivamente 435,6 e 268,4 miliardi, pari a 704 miliardi complessivi.

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