Raul Castro si presenterà dimissionario da primo segretario del Partito Comunista all’ottavo congresso in programma da questo venerdì. E lo farà “senza la minima traccia di tristezza e pessimismo”. La svolta arriva mentre l’economia cubana vive la fase più drammatica da decenni. Tra pochi giorni, quindi, l’isola verrà guidata ufficialmente senza neppure un Castro tra i massimi dirigenti per la prima volta da oltre 60 anni. Si pensa che a succedergli sarà Miguel Diaz-Canel, presidente di Cuba scelto proprio da Raul Castro per guidare la successione verso una nuova generazione di comunisti.

Dicevamo, economia cubana al collasso. Il PIL è crollato dell’11% nel 2020 a causa del Covid, ma il vero problema attualmente è l’inflazione. A inizio anno, il governo ha introdotto una riforma monetaria, che ha eliminato il peso convertibile o CUC e scambia il CUP o peso cubano a 24:1 contro il dollaro. Poiché il rapporto tra CUC e CUP era fissato a 1:1 per le aziende statali, ciò sta facendo esplodere i prezzi. Il cibo sta arrivando a costare anche cinque volte in più rispetto alla fine di dicembre.

La riforma monetaria era necessaria per avviare l’eliminazione delle numerose distorsioni presenti nell’economia cubana. Con il tempo, essa dovrebbe stimolare la produzione locale e scoraggiare le importazioni. Non a caso, una ventata di liberalizzazioni ha accompagnato la misura, cioè i privati possono esercitare centinaia di professioni prima vietate. Restano escluse quelle mediche, l’insegnamento e altre che finirebbero per sottrarre allo stato tecnici e profili necessari al mantenimento dei servizi essenziali.

Economia cubana tra inflazione ed embargo

A primo impatto, decine di migliaia di cubani avrebbero trovato un lavoro per fronteggiare il costo della vita ben più alto. L’economia cubana presenta problemi simili a quelli del Venezuela prima dell’iperinflazione: carenza diffusa di beni, penuria di dollari, collasso del cambio sul mercato nero e inflazione a tre cifre.

La riforma monetaria, infatti, è arrivata nel peggiore momento difficile. Prima di lasciare la Casa Bianca, Donald Trump ha inasprito le sanzioni contro l’isola, mettendo nel mirino le rimesse degli emigranti. Si tratta di una risorsa primaria per gli 11 milioni di cubani, nonché fonte di accesso ai dollari quasi unica in tempi di azzeramento delle presenze turistiche.

Al congresso si discuterà sia del cambio di leadership che dell’analisi dei risultati per l’economia cubana nel quinquennio 2016-2020. Il fallimento è eclatante, anche per effetto dei notevoli ritardi con cui le riforme economiche annunciate nel lontano 2011 sono state implementate. Sotto Raul Castro è diventato possibile comprare un’auto così come una casa, ma il problema è e resta lo stesso: la burocrazia ipertrofica. Sessant’anni di comunismo castrista hanno creato apparati e funzionari funzionali al solo controllo del potere e che ostacolano qualsivoglia riforma all’atto della sua applicazione.

Per questo, i cubani appaiono molto sfiduciati e non credono all’idea che sia in corso un vero cambiamento. Del resto, lo stesso Diaz-Canel scrive su Twitter #SomosContinuidad (#SiamoContinuità), forse in un impeto di onestà intellettuale e voglia di rassicurazione verso l’apparato gerontocratico che governa Cuba. L’unica speranza per l’isola risiede a Washington. Se il presidente Joe Biden rivedesse le restrizioni del suo predecessore e le allentasse, tendendo più alla linea di Barack Obama di cui fu vice, l’economia cubana se ne gioverebbe. Ma Biden ha per il momento ben altri problemi e, soprattutto, nessuno negli USA ha intenzione di togliere le castagne dal fuoco a L’Avana.

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