Lo Sri Lanka ha alzato bandiera bianca. Non è riuscito a onorare le scadenze sul debito estero e ha dovuto dichiarare default. Nel frattempo, si è trovato costretto a limitare le esportazioni per conservare quel poco di valuta straniera rimasta in cassa. Ne è derivata la carenza di beni e l’inflazione è esplosa al 18,7% a marzo, anche perché il cambio quest’anno è stato svalutato del 40%. Le proteste contro il carovita nei giorni scorsi hanno provocato morti e ferite. Una situazione simile si è verificata in Perù, mentre sono diverse le economie emergenti che ribollono a causa della crisi.

Secondo l’indice della FAO, i prezzi dei generi alimentari a marzo erano saliti del 33,6% su base annua, con un picco del 56% per gli olii vegetali. Tra il 2010 e il 2011, fu proprio la crisi alimentare a portare al rovesciamento dei regimi in Tunisia, Libia ed Egitto e a proteste diffuse nel mondo arabo.

Proprio in Egitto la banca centrale ha svalutato il cambio del 15% un mese fa, al fine di allontanare la crisi delle riserve valutarie. In Tunisia il governo nega di volere discutere con il Fondo Monetario Internazionale la rinegoziazione del debito, ma in poco più di un anno si è visto costretto ad alzare il prezzo del carburante quattro volte.

Economie emergenti già stressate dal Covid

Molte di queste economie emergenti hanno in comune le conseguenze negative già patite con la pandemia. Con le restrizioni anti-Covid, il turismo internazionale è crollato ai livelli minimi da almeno trenta anni. Gli afflussi di valuta straniera si sono ridotti, spesso quasi del tutto prosciugati. Quando si stava per tornare alla normalità, è arrivata la guerra tra Russia e Ucraina a rovinare i piani. Prezzi delle materie prime alle stelle, rallentamento della crescita globale e persino crisi alimentare.

Come se non bastasse, i nuovi lockdown in Cina stanno aggravando i colli di bottiglia nei processi di produzione di numerose multinazionali.

L’offerta mondiale di beni e servizi resta sotto pressione e ciò contribuisce a tenere alti i prezzi. Ad approfittarne sono le economie esportatrici di materie prime, tra cui alcune emergenti come Argentina e Brasile. Tuttavia, nessuna di esse sembra rimanere immune dai rischi di contagio, anche perché i rincari si trasmettono a tutti i settori, impattando negativamente sugli standard di vita di popoli già spesso in condizioni carenti.

Un discorso a parte meriterebbe la Turchia, che ha accentuato i tassi d’inflazione con una politica monetaria masochistica e che risente da tempo della fuga dei capitali stranieri. La crisi della lira turca è stata mitigata negli ultimi mesi dal piano governativo per tutelare i risparmi domestici in valuta locale. Ma l’inflazione è volata al 61,1% a marzo, mai così alta dal marzo 2002. Per quanto il peso di queste economie emergenti sia relativamente modesto, non è da sottovalutare l’effetto contagio che una loro crisi rischia di innescare, specie con il rialzo dei tassi in corso negli USA e tra poco anche nell’Eurozona. Ondate migratorie, tumulti sociali, tensioni politiche e fallimenti di stati potrebbero essere all’ordine del giorno.

[email protected]