Ci sono volute sette tornate per celebrare le elezioni in India, il paese più popoloso al mondo con 1,4 miliardi di abitanti. I primi exit-poll di domenica sera lasciavano intravedere una valanga in favore del Bharatiya Janata Party (BJP), il partito del premier uscente Narendra Modi. Man mano che dai sondaggi si è passati allo scrutinio dei voti, il successo risultava ridimensionato. Per la prima volta dal 2014, il BJP non ha conquistato la maggioranza assoluta dei seggi al Lok Sabha. Si è fermato a 240 seggi sui 545 complessivi, 63 in meno del 2019.

Tuttavia, grazie agli alleati potrà ugualmente continuare a guidare il governo. L’intera coalizione ha ottenuto 293 seggi, più dei 273 necessari per avere la maggioranza assoluta.

Da elezioni in India storico terzo mandato per Modi

L’opposizione si è riunita attorno al cartello INDIA, che ha conquistato 230 seggi, molti di più delle previsioni. E il Partito del Congresso di Rahul Gandhi ne ha ottenuti 99, quasi il doppio dei 52 di cinque anni fa. Per questa ragione, l’esito delle elezioni in India ha mandato in rosso i mercati durante la settimana. La borsa del subcontinente asiatico ha perso fino al 6%, la rupia lo 0,65% contro il dollaro e il rendimento dei bond sovrani a 10 anni è salito dello 0,08% sopra il 7%. Successivamente, le perdite sono state limate. In fondo, la vittoria di Modi è fuori dubbio.

Qual è la principale preoccupazione dei mercati? Modi ottiene uno storico terzo mandato, ma personalmente esce indebolito insieme al suo partito. Dovrà accettare le indicazioni degli alleati per fare il premier. Il timore è che finisca ostaggio delle richieste altrui. L’India ha beneficiato della forte stabilità politica nel decennio passato, grazie proprio alla forza elettorale di Modi. L’immenso paese, grande quanto dieci volte l’Italia, era stato caratterizzato nei decenni precedenti da governi di coalizione litigiosi, di breve durata e instabili. Ciò aveva contribuito a rallentare l’uscita dell’economia emergente dalla povertà.

Luci dell’economia indiana

Nei dieci anni sotto Modi, il Pil indiano è cresciuto del 75% e nell’anno fiscale in corso dovrebbe raggiungere i 4.000 miliardi di dollari. Grazie anche alle tensioni tra Cina e Occidente, Nuova Delhi sta diventando il riferimento in Asia per le multinazionali in fuga da Pechino e in cerca di luoghi di produzione più sicuri sul piano geopolitico e pur sempre a basso costo. Il premier ha avuto il merito di avere trasformato l’India in un gigante con ambizioni regionali degne di rispetto. Ci è riuscito perseguendo la creazione di un vero mercato unico interno, abbattendo le differenze tra gli stati federali con l’istituzione di un’imposta nazionale sui consumi.

Ombre

Inoltre, ha cercato di contrastare l’elevata economia sommersa. Essa incide ancora per circa la metà del Pil. Nel 2016, annunciò il ritiro delle banconote di maggiore valore per emetterne di nuove. La lotta al contante fu un modo per fare emergere il denaro nascosto al fisco. L’iniziativa non ebbe il successo sperato, dato che i grandi evasori trovarono vie traverse per sfuggire alle sanzioni.

A cosa si deve il risultato meno brillante delle previsioni per Modi alle ultime elezioni in India? Per quanto in forte crescita, gran parte della popolazione non beneficia ancora apparentemente del boom. Ci sarebbero 600 milioni di persone relativamente povere, quasi la metà dei residenti. Gli stessi numeri sull’occupazione appaiono eclatanti: malgrado la corsa del Pil, lavorano ufficialmente oggi circa 470 milioni di persone, poco più dei 466,55 milioni del 2014, l’anno in cui Modi iniziò a governare. Il tasso di occupazione resta bassissimo: appena il 48%! Com’è possibile? Esistono ben 400 milioni di lavoratori in nero, una piaga che non si riesce a debellare.

Elezioni in India minaccia allo sviluppo?

Negli ultimissimi anni, tra gli analisti internazionali si è diffusa un’espressione impensabile fino a poco prima: questo potrebbe essere il “secolo indiano”.

La vittoria dimezzata di Modi non minaccia questo trend, che va oltre il suo destino politico personale. Tuttavia, le elezioni in India segnalano i rischi che corrono tutte le democrazie, pur imperfette: l’implementazione non così scontata delle riforme, in conseguenza dei cambiamenti politici. Dittature come la Cina riescono a programmare a lungo termine, “grazie” al fatto di non dovere fare i conti con cambi di governo e annesse preferenze programmatiche. Alla lunga ciò ostacola il processo di maturazione economica, ma nelle prime fasi può costituire un fattore favorevole allo sviluppo. I mercati stanno temendo che i meccanismi della democrazia indiana, rivelatisi più solidi del previsto, compromettano il balzo in avanti innescato da Modi.

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