Siete preoccupati che i valori di alcuni titoli azionari siano troppo alti? Non pensate che la vostra inquietudine sia un fatto nuovo nella storia dei mercati finanziari. Quella che vi presentiamo oggi è la storia drammatica di una società, che si quotava in borsa venticinque anni fa. Ed è il caso tipico di una bolla azionaria finita nell’unico modo in cui poteva: rovinando chi ci aveva creduto. Forse qualcuno si ricorderà di eToys, società fondata nel 1997 negli Stati Uniti e con sede a Los Angeles.

La sua mission consisteva nel vendere giocattoli solamente online. Oggigiorno può sembrarvi qualcosa di banale, ma stiamo parlando di fine anni Novanta. C’era internet, ma in pochi erano collegati e quasi nessuno faceva business esclusivamente grazie alla rete. Lontani i tempi d’oro di Amazon, ormai seconda società più capitalizzata al mondo.

Dall’IPO al boom in borsa

eToys raccolse alla sua nascita 50 milioni di dollari grazie a un’operazione di venture capital. Pochi mesi dopo si lanciò nel suo primo (pessimo) affare. Acquisì per 150 milioni BabyCenter, una società canadese che fatturava trenta volte meno di tale cifra. Ma il giorno da incorniciare sarà il 20 maggio del 1999. In quella data, eToys si quotava in borsa. Il prezzo dell’IPO era stato fissato a 10-12 dollari, ma quel giorno debuttò alle negoziazioni a 20 dollari e la prima seduta chiudeva a 76 dollari. La società riuscì a raccogliere 166 milioni con la vendita delle azioni.

Nel corso di quell’anno iniziavano a intravedersi i sintomi della classica bolla azionaria. Il titolo saliva fin sopra gli 80 dollari, una valutazione del tutto sganciata dai fondamentali. All’apice del prezzo, eToys arrivò a capitalizzare intorno a 17,5 miliardi. C’era un problema, anche bello grosso: le vendite non sembravano giustificare tali valutazioni. Erano ancora basse, ma fin qui ci può stare. Ricordate che la scommessa consisteva nel diventare la prima società di giocattoli online.

E poiché internet era agli albori, non sembrava affatto così irragionevole.

Alte spese di marketing senza mezzi

Tuttavia, per ogni dollaro fatturato la società ne spendeva oltre il doppio tra spese di marketing (0,81 dollari) e altre di natura amministrazione, nonché ovviamente per il prodotto stesso. In altre parole, il 40% dei ricavi se ne andavano in pubblicità. Attenzione, anche questi numeri in sé non sarebbero così irrazionali per un’attività nuova e che guarda al lungo periodo. Pensate ad Amazon e a quante perdite dovette fronteggiare prima di diventare il colosso imbattibile di oggi. Il guaio fu che eToys guardava lontano senza averne i mezzi. Insomma, non era capace di sostenere le perdite.

Venne il Natale del 1999. E lì la bolla azionaria iniziò a scoppiare. La società si fece una cattiva nomea per non essere stata in grado di consegnare i giocattoli in tempo. Più che sfortuna, grande incompetenza. Un business che ruota attorno a festività come il Natale deve evitare come la peste ritardi proprio per eventi del genere. Significa mandare alle ortiche il lavoro di tutto l’anno. E fu così che il prezzo del titolo precipitò di un buon 70% dai massimi. Ma ancora nessuno presagiva cosa sarebbe accaduto poco più di un anno dopo. Arrivò il secondo Natale del 2000. Le vendite andarono discretamente bene: 131 milioni di dollari nell’ultimo trimestre! Ma le attese erano per circa 220-240 milioni, cifra che avrebbe giustificato le spese. D’altra parte, il numero dei clienti era quintuplicato a 2 milioni.

Scoppio definitivo della bolla azionaria e crac

Non avendo le spalle larghe che molti investitori pensavano, eToys dichiarò bancarotta alla fine di febbraio del 2001. Chiuse i battenti il mese dopo e licenziò tutti i dipendenti nelle settimane successive. Le azioni in borsa vennero sospese a 9 centesimi.

L’intera società capitalizzava appena 14 milioni, meno di un millesimo dei fasti di un anno e mezzo prima. Una storia triste, che rimarca ancora una volta quanto rischiosa sia la bolla azionaria. Passano i decenni, ma certi meccanismi rimangono invariati. I fondamentali saranno pure noiosi, ma risultano essere l’unico appiglio per giustificare o meno l’investimento in un titolo. E le analisi di specialisti del settore servono per capire se siamo dinnanzi a una possibile Amazon o ad un business senza adeguati mezzi per tirare avanti fino a raggiungere la massa critica di fatturato e clienti.

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