Quando la Russia invase l’Ucraina il 24 febbraio scorso, l’Unione Europea mise subito nel mirino caviale, oro e vodka in arrivo da Mosca e successivamente iniziò ad immaginare sanzioni anche a carico di petrolio e gas. Adesso, sembra arrivato il momento dei diamanti. Polonia e stati baltici premono da mesi e gli Stati Uniti d’America hanno sin da subito inserito le pietre preziose nella loro “blacklist”. Alrosa è la compagnia russa che estrae il 95% dei diamanti del paese e tratta il 27% delle pietre mondiali.

Le sue estrazioni non hanno luogo solamente in Russia, ma anche in stati come l’Angola. Risulta partecipata dallo stato per il 33% e un altro terzo del capitale è nelle mani della regione Jacuzia. E questa sembra una ragione ufficiale più che valida per sanzionarla: le sue entrate vanno a finire in buona parte nelle casse dello stato, usate dal presidente Vladimir Putin per finanziare l’occupazione in Ucraina.

Anversa contro sanzioni Russia

Nel 2021, Alrosa vendette diamanti per un controvalore di 4,2 miliardi di dollari su 14 miliardi di fatturato mondiale. Il business è fiorente dopo la pandemia. L’anno scorso, le vendite di De Beers sfiorarono i 6 miliardi di dollari, in crescita del 20% rispetto al 2021. Quanto in questo dato vi sia del contraccolpo subito dal rivale russo sul mercato americano non è dato sapere. Invece, sappiamo che la Borsa dei Diamanti di Anversa continua ad opporsi alle ventilate sanzioni contro le importazioni russe, non senza ragioni.

Nella città belga passano di mano ogni anno pietre preziose per un controvalore di 37 miliardi di euro. E l’origine di moltissime di esse resta ignota, anche perché nessuno il più delle volte la chiede. Ma l’Antwerp World Diamond Center fa notare come l’inserimento dei diamanti russi nella lista nera di Bruxelles farebbe grosso modo danni soprattutto all’Europa. A rischio vi sarebbero circa 10 mila posti di lavoro tra occupazione diretta e indotto, mentre il problema dalla Russia sarebbe semplicemente aggirato.

Come? Dirottando le vendite sui mercati di Dubai e Mumbai, dove ci si fanno molti meno scrupoli sull’origine delle pietre.

Diamanti insanguinati, rischio bluff

L’India è il principale mercato in cui i diamanti vengono intagliati e lucidati prima di finire in gioielleria. Se quelli russi dovessero finire sanzionati dall’Europa, con ogni probabilità arriverebbero ugualmente nelle gioiellerie del nostro continente. Solo che l’origine sarebbe ufficialmente indiana o araba per coprirne la reale provenienza. Un gioco delle tre carte che colpirebbe solo il business europeo.

Dalle statistiche della banca centrale belga, poi, emerge che già da mesi le importazioni di diamanti russi siano in crollo verticale. Bruxelles è destinazione per l’intera Unione Europea. Nel 2021, le importazioni dalla Russia ammontarono a 1,8 miliardi di euro e nei primi otto mesi del 2022 a 1,2 miliardi. Il rischio che Putin faccia ancora più soldi con la vendita dei diamanti, però, esiste. Con la fine dei lockdown in Cina, la domanda globale dovrebbe salire ulteriormente e così anche le estrazioni, ora che non esistono praticamente più chiusure anti-Covid tra le miniere in giro per il mondo. Già nel 2021 si era registrata una crescita delle estrazioni del 5% dopo il record negativo del 2020 a 111 milioni di carati.

Il fenomeno dei “diamanti insanguinati” aveva riguardato l’Africa nei decenni passati, mentre oggi è diventato un problema essenzialmente russo. La sensibilità dell’opinione pubblica occidentale verso la questione ucraina può rappresentare effettivamente un problema per Alrosa. Ma l’opacità che ancora oggi circonda l’origine delle pietre è di aiuto ai russi. D’altra parte, malgrado la chiusura del mercato statunitense, resta da verificare l’impatto sui conti della compagnia russa. Che il gioco delle tre carte abbia già funzionato nel Nord America?

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