L’Eurostat ha rivisto al ribasso la crescita del PIL nell’Eurozona del secondo trimestre. Secondo la stima preliminare, era stata dello 0,3%, mentre si è fermata allo 0,1%. Il dato risulta uguale al primo semestre, quando l’economia era sfuggita alla recessione dopo il -0,1% registrato nel quarto trimestre. Hanno pesato i dati di Germania e Italia, rispettivamente a crescita zero e a -0,4%. Il momento è complicato nell’area. L’inflazione resta elevata, al 5,3% in agosto, mentre la Banca Centrale Europea (BCE) non ha ancora segnalato se al board della prossima settimana alzerà i tassi di interesse per la decima volta consecutiva.

Riforma Patto stabilità, urge accordo

In tutto questo ci sarà da discutere in autunno della riforma del Patto di stabilità. Le regole fiscali furono sospese nel 2020 a seguito della pandemia. Esse prevedono un deficit massimo al 3% del PIL e un rapporto debito/PIL a cui tendere non superiore al 60%. Sul punto è intervenuto questa settimana l’ex premier Mario Draghi, secondo cui sarebbe la cosa più sbagliata da fare tornare al Patto pre-Covid. Egli ha messo in evidenza come la lotta ai cambiamenti climatici e la reindustrializzazione pongono la necessità di investire per gli stati.

La posizione draghiana è la stessa dell’attuale governo Meloni, che chiede all’Unione Europea che venga scomputata la spesa per gli investimenti dal calcolo per il deficit con il nuovo Patto. La Germania non concorda. Sa di disporre di margini di bilancio per stanziare aiuti di stato generosi a favore della propria industria. Ciò le consente di godere di un vantaggio nei confronti dei partner dell’area. Al contempo, i rilievi della Corte dei Conti tedesca, per cui il governo di Berlino ha truccato il bilancio, segnalano che anche il cancelliere Olaf Scholz non può spingersi molto oltre sul debito.

In sostanza, converrebbe a tutti un allentamento responsabile delle regole fiscali.

Anche perché i fatti dimostrano che, pur in assenza del Patto, il debito pubblico nell’Eurozona è sceso di sei punti percentuali in due anni e verosimilmente continuerà a scendere di un paio di punti anche quest’anno. Certo, l’inflazione ha “drogato” entrate e PIL, ma d’altra parte molte voci di spesa si sono rese necessarie per contrastarla.

Germania paralizzata non è leader

Il 2024 sarà un anno elettorale e un po’ di crescita nell’Eurozona servirebbe a garantire consenso ai governi in carica e, in particolare, ai partiti della maggioranza Ursula. Il punto è che la Germania, leader de facto dell’Unione, è politicamente paralizzata in questa fase. Da un lato, cresce l’opposizione della destra euro-scettica contraria sia all’indebitamento che all’allentamento delle regole fiscali europee. Dall’altro, gli stessi partiti della maggioranza al Bundestag sono divisi tra la necessità di spendere e di tornare a una linea rigorista.

Più che altro, poi, la Germania è in stato di riassetto. Il suo modello economico caratterizzato da importazioni di energia russa a basso costo ed esportazioni crescenti in Asia è andato a pezzi tra pandemia e guerra. Berlino non ha al momento la forza per guidare l’unione monetaria verso l’uscita definitiva dalla crisi post-pandemica. Non sa quali pesci prendere, essendo divisa al suo interno.

Questa paralisi rende Scholz un non leader in Europa, oltre che nella stessa Germania. Il suo sodale francese non se la passa meglio. Il presidente Emmanuel Macron soffre in patria di impopolarità, è nel mirino di tensioni sociali e allarmi sicurezza e all’estero arretra laddove la Francia era stata forte nei decenni passati, ossia in quell’Africa sub-sahariana travolta da numerosi colpi di stato. L’Eurozona non ha un leader. Ognuno sta andando in ordine sparso. Se non fosse per l’unità contro la Russia, le divisioni risulterebbero fin troppo lampanti.

Crescita Eurozona azzerata già con leva fiscale

Difficile, in queste condizioni, trovare un accordo sulla riforma del Patto prima che finisca l’anno. Questo significa che dall’anno prossimo tornerebbero in vigore le vecchie regole. Pur con la gradualità riconosciuta, gli stati dovrebbero risanare i conti pubblici tagliando il deficit sotto il 3% del PIL come minimo. Ma se già oggi con una politica di sostegno fiscale la crescita dell’Eurozona si sta spegnendo, cosa accadrà quando non ci sarà neppure questa leva a favore del PIL e con tassi di interesse che rimarrebbero elevati ancora a lungo? Una recessione diventa ogni mese sempre più probabile e con effetti potenzialmente esiziali sulle elezioni europee. Ma questo un’area senza leadership non riesce a vederlo.

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