Se fosse un libro, s’intitolerebbe “Ci eravamo tanto divertiti”. Invece, è la storia di milioni di investitori, piccoli e grandi, rimasti scottati dai fallimenti di sedicenti leader “visionari”, aggiratisi nei pressi di Wall Street negli anni passati a mo’ di guru. La fine del denaro facile li ha travolti e ha mandato in fumo decine di miliardi di dollari di capitali. In pochi giorni, abbiamo appreso che l’re re delle “criptovalute”, Sam Bankman-Fried (SBF), andrà in galera per chissà quanti anni o decenni e che una delle società considerate più promettenti ha presentato istanza di fallimento ai tribunali di Stati Uniti e Canada: WeWork.

FTX affossata dai guai giudiziari

SBF era stato uno dei principali beneficiari indiretti del denaro facile che girava sui mercati fino agli inizi dello scorso anno. I rendimenti negativi delle obbligazioni avevano spinto molti investitori a scommettere sulle monete digitali per trovare asset almeno un minimo remunerativi. Il giovane aveva creato una piattaforma exchange, FTX, diventata tra le più importanti al mondo. Peccato che i soldi dei clienti per l’acquisto di Bitcoin, Ethereum, ecc., fossero utilizzati per scopi del tutto personali.

Crac di WeWork

Quando l’inflazione faceva la sua ricomparsa dopo numerosi anni di assenza e il mercato scommetteva su un futuro aumento dei tassi di interesse da parte della Federal Reserve, il valore di questi asset iniziò a declinare. L’afflusso dei capitali si prosciugò e i prelievi aumentarono. Un anno fa, FTX è costretta a svelare un “buco” di 8 miliardi. SBF e la cerchia di amici finiscono in manette. Da un massimo di 32 miliardi di dollari, la valutazione della società è scesa attualmente ad appena 1 miliardo.

Non ci sono vicende giudiziarie dietro al crac di WeWork. Fondata nel 2010 dall’allora 29-enne Adam Neumann, è una società che si occupa di prendere in affitto grandi superfici nelle più importanti città del pianeta e sub-affittarle alle società per la condivisione degli spazi.

Sembrava il business del futuro. Poi è arrivata la pandemia e gli uffici si sono svuotati per un paio di anni. Nel frattempo, lo smart working attecchisce e il ritorno in ufficio ad oggi non è totale. Si direbbe che non sia stata colpa di WeWork se gli affari siano andati in malora. Tuttavia, il fondatore si era dovuto già dimettere nel 2019, cioè prima della pandemia, a causa dei cattivi risultati gestionali. In effetti, dal 2016 ad oggi le perdite superano i 15 miliardi. E così, da una valutazione di 47 miliardi di qualche anno fa, la capitalizzazione in borsa vale oggi meno di 100 milioni. Le attività continueranno nel resto del mondo.

Fine denaro facile punisce business poco solidi

Cos’è andato storto? Il denaro facile era andato alla testa. Circolavano tanti dollari dopo la crisi del 2008 e c’era liquidità abbondante per assecondare ogni IPO, quale che fosse il piano industriale che vi stesse dietro. Qualsiasi idea veniva premiata, specie se arrivava da giovani scravattati e con atteggiamenti fuori dalle righe, perché faceva tanto “cool” tra le banche d’affari e i fondi d’investimento dimostrare di finanziare le idee innovative della nuova generazione. Il fatto è che molte iniziative erano state ben spiegate grazie a un’accorta politica di marketing, ma nascevano su basi poco solide.

Neumann e Bankman-Fried sono personaggi diversi tra loro. Il secondo è un truffatore, il primo non si è semplicemente rivelato all’altezza delle aspettative. Ma entrambi sono figli di un tempo già passato, quello del denaro facile, dei tassi a zero, di azioni e obbligazioni in bolla, delle IPO da record, delle start up immediatamente miliardarie, dei capitali a fiumi. Sembrava che non ci sarebbe stato più spazio per veri guru della finanza come Warren Buffett, destinati ad essere soppiantati da neolaureati in pantaloncini e t-shirt tanto sgradevoli, quanto indicativi della sciatteria anche mentale di certi personaggi.

E’ bastato un aumento globale dei tassi per spazzare via un’era di illusioni, illusi e illusionisti.

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