L’emergenza Coronavirus durerà ancora settimane, forse mesi, ma per fortuna prima o tardi finirà. Nel frattempo, l’economia italiana ne sarà devastata, ma consoliamoci sapendo che nemmeno le altre grandi economie di Europa e Nord America rideranno. Nel breve, tutto l’Occidente subirà un contraccolpo violento, non solo di tipo economico, perché questa pandemia ha messo a nudo diverse criticità nelle relazioni internazionali, a partire dalla presa d’atto che della Cina non ci si possa fidare, se è vero che Pechino sia intervenuta per fermare con metodi draconiani il contagio solo dopo che averlo tenuto nascosto al mondo per mesi.

Tornando all’Italia, per quanto non sia questo il momento delle analisi e delle polemiche, ci sarà tanto di cui dibattere seriamente e tante saranno le responsabilità che qualcuno dovrà assumersi, sia per la gestione non certo brillante dell’emergenza, sia per quelle cause che l’hanno resa un pericolo ancora più grave di quanto non fosse di suo. Ci siamo sentiti dire sin dallo scoppio di questa epidemia nel lombardo-veneto che, in fondo, meglio sia stato che il contagio non sia esploso al sud, dove altrimenti sarebbe stata un’ecatombe.

A parte che augurarsi che a piangere sia perlopiù una parte della Nazione, anziché l’altra, non sia un ragionamento accettabile nemmeno nella teoria, essendo tutte le vite umani uguali, il vero dramma che emerge nitido da questa crisi è che l’Italia sotto Roma non esiste. Il nord sta patendo le pene dell’inferno con il Coronavirus e alcune delle sue province più produttive, come Bergamo e Brescia, sono state colpite duramente, con ospedali al collasso e bare trasportate dai mezzi militari a decine verso i crematori locali, in funzione 24 ore al giorno. Tuttavia, il nord sta reggendo nel complesso all’emergenza, disponendo di buoni mezzi di partenza.

Sanità italiana a confronto con la Germania sul Coronavirus, dati choc

Un sud abbandonato a sé stesso

E’, però, mai possibile che uno stato civile debba tremare al solo pensiero che la pandemia possa attecchire a sud, dove tutti sappiamo non esistere nemmeno i mezzi elementari per gestire l’ordinario? Serviva una pandemia di gravità biblica per fare aprire gli occhi al sistema politico-istituzionale che sotto Roma il diritto alla salute sia un’espressione priva di significato, come testimonia la transumanza giornaliera di pazienti dal sud verso nord per curarsi in ospedali ben equipaggiati? Da quanti anni ci raccontiamo che le liste di attesa siano diventate inaccettabilmente lunghe e spesso siano concausa determinante della morte di numerosi pazienti? Come mai nessuno è intervenuto seriamente per strigliare le regioni e minacciarle di serie conseguenze se non avessero provveduto al più presto a ripristinare i livelli minimi di assistenza?

Ma per quanto il nord sia sempre stato virtuoso, esso stesso segnala una carente disponibilità di posti letto, specie nelle sale di terapia intensiva. Lo dimostrano i dati internazionali. E non ci riferiamo solamente alla Germania, di per sé un’eccezione positiva in Europa, ma della media UE e OCSE. L’Italia ha pochi posti letto in rapporto alla sua popolazione. La spesa sanitaria nell’ultimo decennio è scesa dal 7% al 6,5% del pil, mentre in quasi qualunque altro stato europeo è cresciuta e si attesta su livelli superiori ai nostri di almeno 1-2 punti di pil. E’ chiaro che siano ben più attrezzati a gestire un’emergenza come questa paesi che sin dall’inizio dispongono finanche del doppio dei posti letto totali e del quadruplo per la terapia intensiva. Sarebbe come se disponessimo ogni anno di una trentina di miliardi in più per la sanità.

Come mai l’Italia ha obbligato le regioni a tagliare l’unica voce di spesa che andava semmai stabilizzata, dato l’invecchiamento della popolazione? Possiamo raccontarci la verità che vogliamo, di avere la “sanità migliore al mondo”, ma se a un chirurgo di fama mondiale non dai i ferri del mestiere è difficile che possa operare con successo.

Al mondo abbiamo fornito un’immagine umiliante e nauseante, di accattonaggio da paese sottosviluppato, chiedendo dalle mascherine ai ventilatori polmonari, come se non fossimo una delle principali potenze del pianeta. Sarebbe questa la sanità migliore o tra le migliori al mondo?

Stato al collasso

E questa emergenza ha portato a galla tante altre debolezze strutturali. Anzitutto, istituzioni del tutto inefficienti e prive di coordinamento. Le regioni dicono una cosa, lo stato centrale ne fa un’altra. Il governo vara un decreto per impedire spostamenti ingiustificati da comune a comune e ore dopo migliaia di cittadini traghettano dalla Calabria alla Sicilia per cercare di fare ritorno a casa, senza che un qualche prefetto si senta in dovere di intervenire per fare rispettare un’ordinanza regionale da un lato e il decreto dall’altro. Non puoi chiedere al cittadino di rispettare le regole, quando non si capisce quali esse siano e da chi vengano emanate. L’Italia sul piano amministrativo è uno stato da rifondare con un secondo sbarco dei Mille.

E ancora: ci scanniamo da anni tra europeisti ed euro-scettici nella convinzione assoluta dei primi che l’Europa sia un’ancora di salvezza per l’Italia, salvo scoprire che a ogni emergenza, riguardi essa gli sbarchi clandestini o una crisi finanziaria o persino un’emergenza sanitaria, che le istituzioni comunitarie semplicemente non esistono. Anzi, si sono girate dall’altra parte quando la Germania ha impedito alle aziende tedesche di venderci le mascherine e, addirittura, quando la mano criminale del governo ceco ha sequestrato quelle che la Cina ci aveva spedito nei giorni scorsi. Che senso ha questa Europa di burocrati ottusi, fuori dal mondo, incapaci, incompetenti e privi di un sussulto di dignità?

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Il rapporto con l’Europa

Infine, l’emergenza Coronavirus ha accelerato quel processo di aggravamento della crisi fiscale, in corso ormai da decenni.

Saremo l’economia più colpita dell’Occidente, semplicemente perché già eravamo la più fragile dopo la Grecia. Non cresciamo dalla fine della Prima Repubblica, non riusciamo a tagliare il rapporto debito/pil e, malgrado tutti i sacrifici imposti ai contribuenti, non riusciamo ad avere conti pubblici ordinati. Siamo debolissimi e la pandemia ci ha stesi al tappeto. Come intendiamo proseguire dopo l’emergenza, andando avanti con la tiritera del dogma europeista o guardando in faccia i problemi per quelli che sono e cercando di agire a Bruxelles come italiani e non lacchè di questa o quella cancelleria?

In conclusione, l’Italia uscirà malissimo da questa crisi, che ha fatto arrivare al pettine in pochi giorni tutti i nodi che si erano accumulati nei decenni. Abbiamo un sud dimenticato a sé stesso e affidato al buon cuore di tutti i santi, un nord che traina e a cui viene impedito di crescere come dovrebbe per effetto di un carico fiscale opprimente e un sistema Paese semplicemente ridicolo, indegno di definirsi tale. Può sembrare assurdo, ma la prima cosa da fare dopo l’emergenza sarebbe indire l’elezione di un’Assemblea Costituente per azzerare tutto e riscrivere le regole basilari dello stato. L’Italia così com’è non andrà da nessuna parte e agli occhi del mondo ci siamo svelati per quello che siamo: un non Paese a rimorchio dell’Europa.

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