Se il centro-destra vincerà le elezioni politiche del 25 settembre prossimo, entro i primi cento giorni di governo introdurrà la “flat tax”. Parola di Silvio Berlusconi. La coalizione è unita nel ritenere questa proposta fiscale indispensabile per fare crescere l’economia italiana grazie alla riduzione delle tasse. Ma ci sono “sensibilità diverse” in merito all’attuazione concreta. La Lega vuole una “tassa piatta” al 15%, Forza Italia al 23%. Fratelli d’Italia non indica un’aliquota specifica, ma si attiene alla richiesta di Giorgia Meloni: “solo promesse realizzabili”.

In altre parole, la destra meloniana si mostra prudente, anche perché la responsabilità di un eventuale governo di centro-destra con ogni probabilità ricadrà sulla sua leader.

Come funziona la flat tax

Anzitutto, cos’è la flat tax? In questi giorni, circolano sui social ricostruzioni false. C’è chi associa tale sistema fiscale al pagamento “alla romana”. Per intenderci, tutti i contribuenti pagherebbero la stessa cifra di IRPEF. Non è esatto. Ad essere uguale per tutti sarebbe l’aliquota, non la somma da versare. Se l’aliquota richiesta è del 20% e dichiaro 20.000 euro, verso allo stato 4.000 euro; se dichiaro 100.000 euro, verso 20.000 euro.

La flat tax avrebbe due grossi pregi: ridurrebbe l’incentivo ad evadere le tasse e incentiverebbe la produzione di reddito. Forse un esempio ci aiuta a capire meglio: dopo la riforma fiscale entrata in vigore a marzo, esistono quattro aliquote IRPEF. Fino a 15.000 euro il contribuente paga il 23%, da 15.001 a 28.000 euro paga il 25%, da 28.001 a 50.000 euro il 35% e sopra 50.000 euro il 43%.

Le storture del fisco progressivo

Immagina di guadagnare intorno ai 28.000 euro all’anno. Se lavorassi e guadagnassi un po’ di più, pagheresti in proporzione più tasse. In pratica, fai più sacrifici e lo stato ti prende una quota più elevata di reddito. Su 1.000 euro aggiuntivi, anziché 250 pagheresti 350 euro. A questo punto, la tua possibile reazione sarebbe una delle tre: sospiri e lavori ugualmente di più; rinunci a guadagnare di più; lavori di più, ma non dichiari l’extra-reddito, cioè evadi le tasse.

La storia economica, non solo italiana, ci dice che più l’imposizione diventa progressiva ed elevata, più prevalgono tra i lavoratori e le imprese la seconda e la terza reazione. In pratica, la progressività fiscale accentuata con aliquote elevate comportano minore produzione, minori redditi generati e maggiore evasione fiscale. Il tutto è sintetizzato magnificamente dalla Curva di Laffer, che mette in relazione il gettito fiscale con i livelli impositivi.

Perché prevarrà la proposta Meloni

Dunque, la flat tax conviene. Stimolerebbe l’occupazione, la produzione delle imprese e ridurrebbe l’evasione fiscale. Ne beneficerebbero i conti pubblici. Tuttavia, questi effetti positivi si avrebbero nel tempo. Per prima cosa, il taglio delle aliquote e la loro riduzione a una soltanto comporterebbero costi elevati per i conti pubblici. Di quanto non è dato sapere. Dipende dal tipo di riforma, ossia l’aliquota, il sistema di detrazioni fiscali che si manterrebbe in piedi per non svantaggiare i redditi più bassi ed eventuali meccanismi premiali per le famiglie.

Poiché non siamo in una fase di vacche grasse e, anzi, con un debito pubblico al 150% del PIL non si possono lanciare segnali errati sui temi fiscali, in assenza di coperture finanziarie solide l’unica soluzione che credibilmente il centro-destra adotterebbe nel caso di vittoria sarebbe quella prospettata da Meloni: la flat tax “incrementale”. L’aliquota del 15% (o del 23%) sarebbe imposta inizialmente solo sull’aumento dei redditi dichiarati. La misura costerebbe molto di meno, riguardando una porzione del reddito dei contribuenti, mentre sortirebbe effetti positivi in termini di incentivo al lavoro e disincentivo all’evasione fiscale.

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