Il 19 ottobre scorso l’euro chiudeva ad un tasso di cambio di 0,9430 contro il franco svizzero. La valuta elvetica non era mai stata così forte nella sua storia contro la moneta unica. E pensare che quando quest’ultima nacque alla fine degli anni Novanta, il cambio fosse di 1,60. Per essere chiari, circa venticinque anni fa con un euro compravamo 1,60 franchi, oggi 96 centesimi di franco. Ma non è stato solo il nostro cambio a farne le spese nel corso del tempo. Pensate che una sterlina inglese cinquanta anni fa acquistava 6 franchi, oggi 1,11 franchi.

E con un dollaro USA prendevo 4,30 franchi, oggi 91 centesimi di franco. E un dollaro canadese in quaranta anni è passato dal valere 1,75 a 0,66 franchi.

Svizzera rifugio per capitali mondiali

Il franco svizzero ha registrato un apprezzamento globale e quasi costante nei decenni. E’ la sua natura di safe asset o “bene rifugio” a renderla una valuta di riferimento, specie nelle fasi di tensione sui mercati internazionali. E tale fama è meritata. L’economia alpina è solidissima. Vanta un debito pubblico di appena il 40% del PIL, meno di un terzo degli Stati Uniti, di un sesto del Giappone e della metà dell’Eurozona. L’anno scorso, ad esempio, ha chiuso il bilancio in attivo per l’1% del PIL. In media, tra il 1990 e il 2022 il suo disavanzo fiscale è stato dello 0,5%. La spesa pubblica arriva appena al 32% del PIL, segno di estrema prudenza fiscale.

Pensereste che un franco svizzero troppo forte renda il paese poco competitivo sui mercati. Vi sbagliate di grosso. La Svizzera possiede una bilancia commerciale cronicamente attiva sin dall’inizio del millennio. E storicamente vanta anche saldi attivi delle partite correnti. Questo significa che esporta sempre più di quanto importa e attira allo stesso tempo flussi netti di capitali dall’estero.

Riserve valutarie giù contro inflazione

Non vi stupirà, quindi, che agli inizi dello scorso anno la Banca Nazionale Svizzera avesse riserve valutarie per 950 miliardi di franchi, oltre il 120% del PIL.

Nel frattempo le ha ridotte a 680 miliardi. Un po’ il valore è sceso per effetto del deprezzamento di euro, dollaro, sterlina, yen, ecc. Il resto lo ha fatto l’istituto, che continua a vendere asset in valute estere per due ragioni fondamentali: sostenere il franco svizzero al fine di contenere l’inflazione interna e liberarsi di titoli soggetti all’indebolimento dei cambi in cui sono denominati.

La Svizzera aveva acquistato titoli in euro e dollari principalmente negli anni passati. L’obiettivo era stato di indebolire il cambio ed evitare di importare deflazione dall’estero. Ma la situazione è cambiata. La politica confederale è preoccupata delle elevate esposizioni della BNS verso economie con squilibri fiscali e monetari evidenti, nonché con cambi sempre più deboli. Teme di ritrovarsi in mano un pugno di mosche nel tempo. La recente vittoria della destra alle elezioni non fa che aumentare la sensazione che la BNS sarà indotta a ridurre tali esposizioni per concentrarsi magari sugli acquisti di asset più sicuri come l’oro. Non forse una prospettiva immediata, ma storica.

Forza franco svizzero fattore storico

Il punto è che il franco svizzero è la valuta di un’economia sana, che spende entro i limiti delle sue entrate, non ricorre a stamperie monetarie per cercare di risolvere problemi di natura economica e resta competitiva e attrattiva per il mercato dei capitali di tutto il mondo. E’ già riuscita ad abbassare l’inflazione all’1,7%, ma c’è da dire che l’apice era stato del 3,5% verso la metà dell’anno scorso. Nulla al confronto di quanto avvenuto presso le altre economie avanzate. E questo dopo che i prezzi al consumo sono cresciuti in media dell’1,3% negli ultimi quaranta anni contro il 3,4% dell’Italia e il 2,8% degli Stati Uniti, tanto per avere un’idea.

La forza del cambio elvetico non è accidentale, bensì strutturale. E non verrà meno nemmeno in futuro.

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