Il 2023 sarà l’ultimo anno in cui il reddito di cittadinanza resterà in vigore. A partire dall’anno prossimo, il governo presieduto dalla premier Giorgia Meloni prevede una significativa riforma del sussidio voluto dal Movimento 5 Stelle nel 2018 ed entrato in vigore a partire dall’aprile del 2019. Continueranno a percepirlo gli over 60, gli invalidi e coloro che hanno figli minori o disabili a carico. Tutti gli altri “occupabili” non saranno più beneficiari. Già quest’anno, l’erogazione è prevista fino a un massimo di 7 mesi per i percettori di età compresa tra 18 e 59 anni sprovvisti dei requisiti di cui sopra.

Ma l’ex premier Giuseppe Conte non molla. La sua rinascita politica alle elezioni del 26 settembre è avvenuta solo grazie al reddito di cittadinanza, cavalcato sapientemente in campagna elettorale nelle regioni meridionali.

Reddito di cittadinanza regionale, avvio nel Lazio

Il Movimento 5 Stelle ottenne più del 15%, un successo insperato, seppure la percentuale risultò essere più che dimezzata rispetto al 2018. Ma subito dopo lo scioglimento delle Camere, i sondaggi gli assegnavano a stento la doppia cifra. La risalita è stata possibile per Conte battendo le piazze del Sud con la promessa di mantenere il reddito di cittadinanza nel caso di vittoria. Ora che la maggioranza di centro-destra sta per toglierlo e che di nuove elezioni politiche in vista non ve ne sono, ecco estrarre dal cilindro la proposta di un reddito di cittadinanza “regionale”.

Nel Lazio, la candidata a governatore dei pentastellati, Donatella Bianchi, ha già fatto sua la proposta di Conte, il quale ha ribadito in questi giorni che la estenderà ad ogni regione in cui il Movimento correrà. Di cosa si tratta? Un sussidio integrativo o sostitutivo per il caso in cui il reddito venisse meno al livello nazionale. A farsene carico sarebbe la regione sulla base del costo della vita effettivo. Una delle principali critiche mosse al reddito di cittadinanza risiede nel fatto che esso garantisce un livello di sussistenza uguale per tutta Italia, a fronte di un costo della vita molto diseguale.

Ad esempio, i 280 euro aggiuntivi erogati ai beneficiari come contributo per l’affitto in una città come Crotone può arrivare a coprire la stragrande parte del canone, in una come Milano non arriva mediamente alla metà.

Conte vuole partito del Sud

Sorgono spontanee, però, un paio di domande: con quali mezzi le regioni pagherebbero, soprattutto al Sud, dove si concentrano i due terzi degli esborsi? E perché mai la differenziazione del sussidio sarebbe accettabile, mentre le cosiddette gabbie salariali per gli stipendi pubblici tra Nord e Sud no? Il reddito di cittadinanza è arrivato a costare 10 miliardi di euro all’anno. Se il Movimento 5 Stelle intendesse ripristinare il sussidio su base regionale per coloro che lo perderebbero secondo le future regole nazionali, servirebbero verosimilmente almeno un paio di miliardi di euro. Soldi che i già magri bilanci regionali non posseggono. La misura risulta di difficilissima realizzazione. Al Sud non possono permettersela, al Nord non c’è alcuna richiesta dei cittadini in tal senso.

Quale sarebbe la reale ratio di questa proposta? Conte punta a tenere alta la bandiera del reddito di cittadinanza nel corso della legislatura, consapevole che il suo Movimento alle elezioni amministrative, salvo rare eccezioni, si è sempre mostrato debole. Questo sarebbe un buon argomento per “strappare” nei territori ulteriori voti alla sinistra, cioè al Partito Democratico, rafforzando i candidati pentastellati nelle città e, soprattutto, alle regionali. Con questa mossa, i 5 Stelle puntano definitivamente ad accreditarsi nell’opinione pubblica come “partito del Sud”. Una sorta di Lega meridionale imbastita di rivendicazioni assistenziali e persino demagogiche, ma che in aree economicamente depresse risultano popolari. Conte punta alla popolarizzazione del consenso con Meloni.

La premier è la sua più fedele alleata in qualità di avversaria contro la quale presentarsi come unica alternativa concreta.

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