Settimana cruciale per la futura architettura finanziaria dell’Unione Europea. Domani, 7 dicembre, si riuniranno a Bruxelles i venti ministri delle Finanze dell’Eurozona. Tenteranno di trovare un accordo dell’ultimo minuto sulla riforma del Patto di stabilità. Se le trattative entreranno nel vivo, nessuno si attende che la riunione terminerà prima dell’alba. L’eventuale fumata bianca arriverebbe con le primi luci dell’Immacolata. Ed è effettivamente un miracolo quello che serve per trovare la quadra. Le posizioni non sono così distanti come fino a poche settimane fa.

Tuttavia, serve l’unanimità e il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha ribadito anche nell’audizione odierna davanti alla Commissione Bilancio di Camera e Senato che non ha intenzione di cedere su alcuni punti.

Distanze tra Italia e Germania

La Germania chiede due cose: che il rapporto tra debito pubblico e PIL scenda di almeno l’1% ogni anno e che i paesi con deficit sopra il 3% riducano il disavanzo strutturale di almeno lo 0,5% all’anno. Sul primo punto l’Italia sta ammorbidendo la sua posizione, notoriamente contraria. Infatti, Giorgetti sostiene che questa previsione potrà essere inserita nel nuovo Patto di stabilità, ma che l’Italia sarebbe nelle condizioni di rispettarla solo dopo che si saranno esauriti gli effetti del Superbonus sui conti pubblici. E poiché questi varranno fino ai prossimi cinque anni, di fatto è un “no” tecnicamente motivato.

Quanto al secondo punto, sebbene Giorgetti non lo dica espressamente, il governo italiano non vorrebbe far parte di un pur nutrito gruppo additato di spendere troppo e per questo sottoposto a una politica di austerità fiscale più rigorosa degli altri. Il ministro ha indicato un concetto chiave in base al quale si muoverà anche nelle prossime ore in Europa: accettare condizioni “sfidanti”, ma non quelle “impossibili”. A suo avviso, serietà vorrebbe che un paese s’impegnasse solo per ciò che sarebbe in grado di rispettare.

E conferma che la ratifica della riforma del Mes camminerà di pari passo con le nuove regole fiscali.

Senza accordo torna il Fiscal Compact

Se entro l’Immacolata l’accordo non arrivasse, la palla passerebbe tutta nelle mani del Consiglio europeo del 14-15 dicembre. I capi di stato e di governo dell’Unione dovranno o mostrarsi all’altezza della situazione o prendere atto dell’impossibilità di trovare soluzioni comuni. In questo secondo caso, dal prossimo gennaio scatterebbe la riattivazione del vecchio Patto di stabilità. Giorgetti si è detto pronto ad accettare una siffatta condizione, perché non è disponibile ad accettare tutto quanto venga imposto all’Italia.

Il vecchio Patto di stabilità, sospeso sin dal 2020 e fino a tutto quest’anno, prevedeva un deficit massimo al 3% del PIL e un tetto al debito pubblico al 60%. Le infrazioni non sono mai state sanzionate, ragione per cui la Germania pretende meccanismi automatici e criteri numerici imprescindibili per evitare di politicizzare le valutazioni dei bilanci statali. Quanto al debito, il Fiscal Compact nel 2012 previde di abbatterlo di un ventesimo all’anno per la quota superiore al 60%. E’ rimasto lettera morta, ma ciò non toglie che la regola venga riesumata nel prossimo futuro in assenza di un cambio di impostazione nei giorni che verranno.

Patto di stabilità, differenze tra vecchie e nuove regole

Per l’Italia ci sarebbe una bella differenza tra quanto chiede adesso la Germania per avallare la riforma del Patto di stabilità e quanto previsto dal Fiscal Compact. Nel primo caso, come detto, il debito pubblico italiano dovrebbe essere tagliato dell’1% all’anno rispetto al PIL. Nel secondo, del 4%. Infatti, con un rapporto attualmente al 140%, la quota eccedente il 60% risulta oggi dell’80%. E un ventesimo (5%) dell’80% equivale al 4% del PIL. Per fortuna, nessuno allo stato attuale crede che tale regola sia rispettabile.

La stessa Germania ha ridotto le sue rivendicazioni nel nome del realismo.

Sta di fatto che l’Eurozona non possiede un sistema di regole noto a partire dal prossimo mese. Una condizione eccezionale che ha indisposto per mesi i mercati, i quali stanno scaldandosi nelle ultime settimane soltanto in vista di un possibile taglio dei tassi di interesse. Non giova il caos politico tedesco, dove il bilancio federale è stato bocciato dalla Corte Costituzionale e gravato di 60 miliardi solo per quest’anno, accentuando le tensioni nella già rissosa maggioranza “semaforo”. Frustrato per l’impasse casalingo, il ministro delle Finanze, Christian Lindner, si sfoga sul Patto di stabilità, allontanando il raggiungimento di una soluzione.

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