L’Italia ha raggiunto il record di occupazione. Nel mese di settembre, il numero delle persone che lavoravano nel nostro Paese è salito a 23 milioni 656 mila, pari al 61,7% della popolazione in età lavorativa. Mai una percentuale così alta. Ma c’è poco da festeggiare. In primis, perché restiamo dieci punti sotto la media europea e secondariamente perché abbiamo tra gli stipendi più bassi del continente. Le conseguenze per chi vuole andare in pensione prima dell’età ufficiale sono negative.

La Legge di Bilancio 2024 ha rivisto i criteri per poter andare in pensione a 64 anni per i lavoratori ricadenti sotto il sistema contributivo puro.

Si tratta di tutti coloro che hanno iniziato a versare il loro primo contributo previdenziale dopo il 1995. Grosso modo, parliamo di persone ancora sotto i 50 anni di età. Ad oggi, la normativa consente loro di uscire dal lavoro a 64 anni, se in possesso di 20 anni di contribuzione. Ad un patto: l’assegno mensile dovrà risultare non inferiore a 2,8 volte il trattamento minimo.

Pensione contributiva, novità dal 2024

Con il metodo contributivo l’assegno si determina sulla base esclusivamente dei contributi versati e annualmente rivalutati. Essi vanno a finire in quello che definiamo il montante contributivo. Inoltre, più si va in pensione tardi e maggiore l’importo che si riceverà. I coefficienti di trasformazione applicati al montante crescono con l’età a cui avviene la richiesta di pensionamento. La logica è che, fissata una certa aspettativa di vita, più sono gli anni in cui si resta in pensione e minore l’assegno a cui si avrà diritto. La pensione viene “spalmata” per gli anni di presunta rimanenza in vita.

Cosa ha fatto il governo Meloni? Ha innalzato da 2,8 a 3 volte il trattamento minimo l’importo dell’assegno necessario per uscire dal lavoro a 64 anni. Lo ha mantenuto a 2,8 per le donne con un figlio e lo ha abbassato a 2,6 per le donne con almeno due figli.

In pratica, solo queste ultime potranno beneficiare di un allentamento dei criteri rispetto alla normativa attuale. Per le donne con un figlio non cambia nulla, per gli uomini e le donne senza figli i criteri diventano più restrittivi.

Stipendi bassi frenano uscite anticipate dal lavoro

Se questa riforma non cambia, sarà sempre più fondamentale per andare in pensione nei prossimi decenni. I lavoratori ricadenti sotto il sistema contributivo puro tenderanno a crescere fino a diventare praticamente l’unica platea possibile. I cosiddetti “misti” verosimilmente scompariranno da qui a qualche decennio. Il punto è che con il calcolo esclusivamente contributivo l’assegno si ottiene in base soltanto ai contributi versati. Ed essi sono funzione di due aspetti: gli anni di carriera lavorativa e il livello medio della retribuzione.

In Italia, sappiamo che un giovane che si affacci al mercato del lavoro prima dei 30 anni sembra quasi una simpatica eccezione. Fino ad allora, se non molto più tardi, carriere discontinue, stage, studi universitari infiniti e tanto lavoro in nero. Una volta entrati sul mercato del lavoro, però, il problema diventa quello degli stipendi bassi. I dati internazionali lo dimostrano senza ombra di dubbio. Se è complicato vivere pur con un’occupazione a tempo pieno, il peggio potrebbe arrivare durante la vecchiaia. Gli assegni saranno bassi e, alla luce della normativa, solo chi ha retribuzioni adeguate può sperare di andare in pensione prima degli altri.

Può andare in pensione prima chi ha stipendi alti

Prendete i dati di quest’anno. Il trattamento minimo ammonta a circa 568 euro, per cui servirebbe un assegno di oltre 1.700 euro per andare in pensione a 64 anni con il contributivo puro. Peccato che questo presupponga che in pochissimi possano approfittare dell’uscita anticipata. Servirebbe possedere, infatti, un montante contributivo intorno ai 400.000 euro, rivalutazione inclusa.

Solo una minoranza dei lavoratori italiani oggi ha questa cifra virtualmente accantonata. Il tema degli stipendi bassi sarà sempre più centrale anche in prospettiva dell’uscita dal lavoro. Creerà molte differenze tra fasce di reddito e tra Nord e Sud. Va da sé che sarà molto più raro per un lavoratore meridionale ambire al pre-pensionamento, date le minori retribuzioni nel settore privato.

A sua volta, il tema degli stipendi bassi non si affronta con soluzioni demagogiche. La loro crescita è possibile solo in un contesto di piena occupazione, che a sua volta ancora si porta dietro la questione della produttività. Tutto si riduce a questo: il lavoro in Italia è mal retribuito perché non è sufficientemente produttivo. E innesca meccanismi negativi, tra cui la necessità di andare in pensione sempre più tardi.

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