Olaf Scholz è quello che gli inglesi definirebbero “lame duck”, l’anatra zoppa che si aggira per i palazzi di Berlino nell’attesa che arrivino le elezioni federali tra un anno per porre fine alla sua agonia politica. Non si era mai visto un cancelliere così impopolare in Germania dopo la Seconda Guerra Mondiale. Soprattutto, non si era mai visto un capo del governo a Berlino (Bonn fino al 1999) totalmente incapace di rianimare l’economia tedesca e sprovvisto di idee e ricette.
Economia tedesca in balia di Scholz senza idee
Il paragone non regge per due ragioni. L’economia tedesca in stagnazione era frutto di un evento storico di grossa portata: la riunificazione del 1990. L’ex Germania Ovest dovette accollarsi ingenti costi per sviluppare l’ex Ddr, per quaranta anni sotto l’egida comunista. Soprattutto, in quegli anni Berlino non era immobile come sembrava all’estero. Schroeder varava riforme strutturali impopolarissime, ma che si sarebbero rivelate decisive per consentire al suo successore Angela Merkel di restare per sedici anni cancelliera raccogliendone i benefici. Tra queste ricordiamo la Hartz IV, contestatissima a sinistra. In buona sostanza, un taglio dei sussidi di disoccupazione per rilanciare l’occupazione e la crescita. Funzionò alla grande.
Schroeder era un leader carismatico, ben più dell’algida Merkel. Sapeva parlare in pubblico, tracciare una rotta, smuovere i sentimenti del proprio elettorato. Capiva l’economia tedesca, cosa che non si può dire di “Scholzomat”, uno che già prima di diventare cancelliere nel 2021 veniva considerato un robot dagli stessi tedeschi, che non sono il ritratto dell’emotività. Vinse le elezioni federali con meno di un quarto dei voti, ma sufficienti a scavalcare un agonizzante centro-destra lasciato in macerie da un’altra grande “esperta” di politica domestica e internazionale.
Scholz travolto alle elezioni regionali
Alle elezioni europee di giugno, l’Spd aveva ottenuto meno del 14%, mai così male nella sua storia. Il peggio è arrivato l’1 settembre con le elezioni nei due Laender orientali di Turingia e Sassonia: 6,1% e 7,3%. Un disastro immane, accentuato dal contestuale azzeramento degli alleati di governo. I Verdi per un pelo (5,1%) riescono a restare nel Parlamento sassone, mentre non ce la fanno a Erfurt. I liberali sono stati letteralmente azzerati in entrambi. A festeggiare sono stati l’AfD, accusata di simpatie neonaziste, arrivati primi in Turingia e secondi in Sassonia. La Cdu ha vinto in quest’ultima e a sinistra ha fatto il botto la rosso-bruna Sahra Wagenknecht, una che non aderisce alla politica sui diritti Lgbt dei compagni socialdemocratici e che si oppone all’immigrazione incontrollata.
Pil giù, modello tedesco in crisi
L’avversione verso Scholz non è tanto per il suo atteggiamento robotico. L’economia tedesca se la sta passando male. Il Pil l’anno scorso è sceso dello 0,3%, unico caso tra i paesi del G7. E continua a scivolare con un andamento ondulante da due anni a questa parte. Le prospettive di crescita per quest’anno sono nulle. A titolo di confronto, l’Italia è cresciuta dello 0,9% nel 2023 e dovrebbe fare all’incirca altrettanto quest’anno. L’ultima rilevazione dell’indice Zew, che misura il sentiment tra 350 esperti, ha visto precipitare il valore a 19,2 punti dai 41,8 di agosto.
Il disastro di Scholz è dettato da fattori contingenti e strutturali. La crisi dell’energia ha messo a nudo le basi di argilla su cui poggiava il famigerato modello tedesco: gas e petrolio importati dalla Russia a basso costo. La globalizzazione vacilla e la Germania aveva puntato tutto sulle esportazioni, specie in Asia.
Ambientalismo cieco e scelte boomerang
Non è tanto questo. Scholz ha picconato l’industria, a partire dall’automobilistica, con scelte improntate a un ambientalismo ideologico e acritico. Lo ha fatto per accontentare gli alleati Verdi, che hanno imposto l’accelerazione della chiusura per le centrali nucleari, lo stop ai motori a combustione dal 2035 e altre sciocchezze come il divieto di installare caldaie a gas nelle case. I consumatori si sono ritrovati a pagare di più beni e servizi, mentre la produzione collassa e le prospettive per i loro redditi si fanno nere.
L’economia tedesca paga l’ottusità di Berlino degli anni passati. Nell’era Merkel ci si era illusi di poter sfruttare il vasto mercato cinese per vendere le proprie merci, auto in testa. Pechino sta travolgendo la Germania come fece già una ventina di anni fa con l’Italia. Noi pagammo il fatto di essere specializzati in produzioni a basso contenuto tecnologico. I tedeschi pensavano che sarebbero sfuggiti a tale destino puntando su produzioni avanzate. Non hanno capito che i cinesi non vendono più da tempo soltanto abbigliamento da quattro soldi e imitazioni dei nostri prodotti tecnologici. Ora sono un po’ come il Giappone degli anni Ottanta, impongono le loro produzioni a discapito della concorrenza tedesca, americana, ecc.
Economia tedesca priva di stabilità politica
Dinnanzi a un tale scenario servirebbe un governo con gli attributi. A Berlino si ritrovano, al contrario, la torre di Babele. I Verdi spingono per la transizione energetica a qualunque costo. I liberali chiedono il ritorno all’ortodossia fiscale e una politica più favorevole al mercato. I socialdemocratici di Scholz sono lì a mediare senza un’idea precisa. Risultato: sono tutti scontenti, a destra e a sinistra.