Forse non è stato un vero fulmine a ciel sereno, ma l’apertura di un’indagine della Commissione europea a carico delle auto elettriche cinesi segna ugualmente una svolta nelle relazioni commerciali con Pechino. Il Dragone ha prontamente reagito tramite il governo e ha fatto sapere che seguirà il caso e che non resterà a guardare. Bruxelles assicura per bocca del presidente Ursula von der Leyen che l’indagine anti-dumping sarà svolta in conformità alle regole rigorose dell’Unione Europea e dell’Organizzazione Mondiale per il Commercio.

Essa sarà tesa ad accertare che la catena di produzione non benefici di sussidi governativi che alterino la concorrenza a discapito dei produttori europei.

Cina in vantaggio su transizione energetica

Il dubbio risiede circa il fatto che il vantaggio competitivo di cui gode la Cina nella produzione di auto elettriche non sia dovuto solamente a dinamiche di mercato, bensì anche a interventi governativi. In parole povere, è vero che la manodopera cinese costa molto meno di quella occidentale, ma almeno buona parte del vantaggio in termini di prezzo deriverebbe dai sussidi elargiti dal governo di Pechino alle case automobilistiche. In pratica, parte dei costi risulterebbe coperto e ciò consentirebbe ai produttori in loco di vendere auto elettriche nel resto del mondo a prezzi calmierati.

Il punto è che la Commissione europea ha fatto la frittata e adesso cerca di correre ai ripari. Dal 2035 non saranno più possibili vendite nell’Unione Europea di auto con motore a combustione. La transizione energetica sarà perseguita puntando esclusivamente sulle auto elettriche. Bella trovata ideologica della sinistra, che non ha tenuto conto del fatto che la componentistica sia in possesso perlopiù della Cina. Essa detiene quasi il monopolio della costruzione delle batterie, così come è seconda produttrice al mondo di semiconduttori e possiede il controllo anche degli accumulatori.

Germania teme per industria auto tedesca

Affidarsi alle sole auto elettriche per combattere i cambiamenti climatici significa sostanzialmente dipendere mani e piedi dalla Cina.

La corsa ai ripari, tardiva, si avrebbe imponendo ai produttori in Cina dazi anti-dumping tali da colmare il divario di prezzo ingiustificato cin i concorrenti europei. Attenzione, la misura eventualmente varrebbe per gli stessi produttori europei o di altre parti del mondo che fabbricano auto elettriche in Cina. E questa è una delle due principali ragioni per cui la Germania trema.

Il gruppo Volkswagen ha prodotto nell’intero 2022 quasi 3,2 milioni di veicoli in Cina, il 38,5% del totale. L’interscambio commerciale tra Cina e Germania ha sfiorato lo scorso anno i 300 miliardi. Le esportazioni tedesche presso la seconda economia mondiale valevano 107 miliardi, il 2,8% del PIL domestico. Numeri che spiegano perché Berlino non guardi con favore alla svolta anti-cinese di Bruxelles. Ha puntato gli ultimi venti anni sulla crescente integrazione con la Cina per esportare su un mercato ad alto potenziale di crescita. Adesso, vede andare in frantumi l’intera sua strategia commerciale.

Asse italo-francese contro auto elettriche cinesi

Ed è così che la “guerra” dell’Europa alle auto elettriche cinesi sta seminando divisioni tra i partner. Francia e Italia sono schierate su posizioni dure, tant’è che di recente la prima ha varato una legge che sostanzialmente esclude i veicoli importati dall’Asia dagli incentivi. Il governo Meloni vi si vorrebbe ispirare, così da favorire le produzioni domestiche ed europee. In soldoni, sarebbero valutati i tassi di inquinamento provocati dal trasporto di auto prodotte a lunga distanza e attingendo ad energia non pulita. E’ noto, ad esempio, che in Cina quasi la metà dell’energia elettrica sia generata da centrali a carbone.

L’espediente è stato trovato. Guardare ai livelli di inquinamento lungo l’intera catena della produzione per disincentivare le importazioni di auto elettriche cinesi.

Il punto è che la Cina non resterà a guardare e potrebbe reagire imponendo a sua volta restrizioni alle importazioni di auto europee. La Germania teme di perdere quote di mercato e di non riuscire neppure più a produrre in Cina per vendere le proprie auto in Europa e nel resto del mondo. Uno scenario preoccupante per un’economia al palo, che già ha perso l’approvvigionamento al gas russo a basso costo e che subirebbe ulteriori contraccolpi pesanti dalla de-globalizzazione in corso.

UE teme anche Stati Uniti

Tra l’altro, la minaccia cinese non è l’unica a pendere sulle teste dei produttori europei. Nell’agosto dello scorso anno, l’Inflation Reduction Act (IRA) varato dall’amministrazione Biden ha dato vita a generosi sussidi a favore di imprese e consumatori, con l’intento di rimpatriare quote di produzione strategiche. L’obiettivo dichiarato consiste nell’allentare la dipendenza degli Stati Uniti dalla Cina in piena transizione energetica. L’apparato di norme, tuttavia, scatena una competizione con la stessa Europa.

La Commissione europea ha chiesto a Washington di rendere il testo non ostile agli interessi dell’Unione. Ha anche allentato la disciplina sugli aiuti di stato per consentire ai governi di recuperare in corsa. Il problema è che questo stratagemma finisce per premiare i paesi con margini fiscali come la Germania, che possono permettersi di sussidiare le produzioni ritenute strategiche a colpi di miliardi. Il governo di Berlino ne ha destinati ben 10 a favore dell’americana Intel di recente, al fine di incentivare la costruzione di due stabilimenti nell’Alta Sassonia.

Auto elettriche dividono Francia da Germania

Sulle auto elettriche si gioca il futuro di un pezzo di industria europea. Sul tema scricchiola l’asse franco-tedesco, mentre stiamo assistendo a un apparente avvicinamento tra Francia e Italia. Non dobbiamo dimenticare che il presidente Emmanuel Macron vinse nel 2017 con un programma, che definiremmo impostato sul “sovranismo europeo”. Egli ha sin da subito puntato ad escludere le aziende cinesi dalle gare di appalto, richiedendo tra l’altro che gran parte dei fornitori debbano avere sede nell’Unione Europea.

Posizione divergente dalla Germania, che crede di potersi avvantaggiare solo aprendo le frontiere commerciali con Pechino e insinuandosi nel suo enorme mercato da 1,4 miliardi di consumatori.

[email protected]