All’ultimo simposio di Jackson Hole, il governatore della Federal Reserve, Jerome Powell, ha sostanzialmente replicato picche al presidente Donald Trump, che pochi giorni prima si era lamentato in privato sulla politica monetaria americana. Powell l’ha definita “appropriata”, per cui il mercato continua a prevedere un rialzo graduale dei tassi USA per quest’anno e, seppure più lentamente, anche per l’anno prossimo. Resta il fatto che i tassi d’interesse presso la prima economia mondiale restano ben al di sotto del loro livello “neutrale”, stimato al 3%.

Si tratta del tasso che non sosterrebbe e né deprimerebbe il pil USA in questa fase. Pertanto, ancora oggi la Fed terrebbe il saggio d’interesse a livelli accomodanti, ovvero continuerebbe a stimolare l’economia americana. Per il resto, la BCE li tiene ancora azzerati, così come quasi tutte le altre banche centrali.

Ecco trovata la scusa delle banche centrali per tenere i tassi bassi a lungo

I bassi tassi a lungo rischiano, però, di creare le condizioni per una crisi finanziaria ed economica. Si è molto discusso, ad esempio, sugli effetti che essi avrebbero sui azioni, obbligazioni e immobili. Il denaro a basso costo sprona gli investimenti in questi comparti, sostenendone le quotazioni e alimentando una “bolla”. Man mano che i prezzi salgono, la disconnessione con i fondamentali si rafforza e nel caso dei bond, in particolare, spinge il mercato a puntare su titoli sempre più rischiosi, al fine di maturare un rendimento minimo accettabile.

I contraccolpi sull’economia reale

Tuttavia, poco si parla degli effetti distorsivi che i bassi tassi hanno sull’economia reale. L’obiettivo delle banche centrali consiste proprio nello stimolare gli investimenti, rendendo i prestiti convenienti. Inoltre, le famiglie sarebbero incentivate a consumare, visto che i loro risparmi vengono remunerati di meno in banca. Apparentemente, si tratta di una situazione ottimale, favorevole all’economia.

Così non è. La teoria, ancor prima della pratica, ci spiega che quando lo stato interviene sul mercato, esso crea una perturbazione, alla quale gli attori del mercato stesso tendono a reagire per neutralizzarne gli effetti.

Nel caso specifico, i tassi tenuti artificiosamente bassi dalle banche centrali falsano le informazioni per risparmiatori e investitori. Essi sono, infatti, il prezzo che si forma dall’incontro tra l’offerta e la domanda di risparmio. Se le famiglie tendono a risparmiare troppo rispetto al denaro richiesto dalle imprese per investire, i tassi si abbassano e con ciò determina un nuovo equilibrio con minore offerta e maggiore domanda. Viceversa, nel caso in cui fossero le imprese a chiedere “troppi” prestiti. Se la banca centrale usa gli strumenti di politica monetaria per abbassare i tassi al di sotto del loro livello di mercato, i risparmiatori ritengono che non vi sia la giusta remunerazione per i loro sacrifici (minori consumi oggi) e preferiranno consumare. Dall’altra parte, le imprese noteranno denaro a costo conveniente e lo prenderanno in prestito in misura maggiore di quanto non avrebbero altrimenti fatto.

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I bassi tassi si pagano in futuro

Riassumendo, i bassi tassi aumentano gli investimenti e abbassano i risparmi. In teoria, ciò dovrebbe favorire la crescita e l’occupazione. Quale sarebbe l’aspetto negativo della vicenda? Soffermarsi sull’oggi e non capire che il mercato tende a creare un equilibrio “intertemporale”, perturbato il quale, in futuro si pagheranno le conseguenze. Nel caso specifico, abbiamo che le famiglie hanno consumato e le imprese hanno investito di più di quanto avrebbero voluto. Ciò determinerà in futuro minori risorse a disposizione per i consumi futuri e maggiori esposizioni debitorie. Per essere espliciti: con tassi al 3%, avrei probabilmente risparmiato 200 euro al mese su uno stipendio di 1.500 euro netti.

Con tassi azzerati, ho preferito mettere da parte solo 50 euro, con il risultato che nel primo caso avrei accumulato 2.400 euro in un anno, interessi esclusi, nel secondo appena 600. Cos’è successo? Poiché il risparmio altro non è che consumi futuri, i bassi tassi hanno innalzato i consumi odierni per comprimerli domani (mi ritrovo con 1.800 euro in meno da spendere).

Perché mai lo stato dovrebbe preferire anticipare i consumi, spezzando quell’equilibrio intertemporale di cui sopra? Perché a differenza di quanto tendiamo inconsciamente a credere, esso non è neutrale, ma animato da ragioni “parziali”: lo stato non è un ente super partes, bensì retto da governi che puntano ad essere rieletti e sono costretti, chi più e chi meno, a concentrarsi sul breve termine, anche al costo di intaccare le condizioni economiche future. L’obiettivo diventa superare la prossima scadenza elettorale, per cui servono occupazione e crescita al massimo delle potenzialità, quand’anche ciò significasse in futuro crisi.

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Bassi tassi = investimenti e consumi sbagliati

E i bassi tassi non solo elevano gli investimenti attuali, ma finiscono per rimodularli sul piano temporale. Facciamo un esempio: con tassi al 3%, il valore attuale di 100 euro tra 10 anni ammonta a 74,41 euro; con tassi allo 0,5%, esso sale a 95,14 euro. Cosa significa? Abbassando i tassi, si segnala alle imprese la maggiore convenienza a investire in un arco di tempo più lungo, visto che il valore attuale di un dato flusso di reddito atteso sale. Questo spinge il mercato a puntare su un orizzonte temporale più lungo, il quale si rivelerà errato quando i tassi dovessero tornare al loro livello naturale, cioè quando verrà meno lo stimolo della banca centrale. A quel punto, le imprese scopriranno di essere rimaste imbrigliate in investimenti troppo lunghi, oltre che eccessivi nelle quantità.

Per concludere, i bassi tassi per effetto dell’allentamento monetario raccontano al mercato una bugia, che nell’immediato crea un equilibrio economico apparentemente desiderabile, ma che sarà seguito da disequilibri futuri.

I maggiori consumi e investimenti dell’oggi verranno soppiantati da minori consumi e investimenti domani. Detto altrimenti, i bassi tassi rappresentano una cambiale sul futuro. L’unica ragione reale per cui tutte le banche centrali si mostrano animate nel sottoscriverla consiste nel mostrarsi accomodanti con i governi di turno, che hanno a cuore sì l’interesse dell’economia, purché nel più breve tempo possibile.

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