Nel mese di dicembre, stando agli ultimi dati dell’Abi (Associazione bancaria italiana), la raccolta bancaria in Italia a gennaio è diminuita di 23,4 miliardi su base annua, attestandosi a 1.685, ma risultando di 173 miliardi superiore al periodo pre-crisi del 2007. Gli italiani si confermano un popolo di risparmiatori, nonostante le difficoltà. Ma vediamo in quali prodotti investono in banca e in quali quantità. Lo strumento più diffuso è il conto corrente, vuoi per i limiti all’uso dei pagamenti in contanti sopra i 1.000 euro fino alla fine del dicembre scorso (3.000 euro dall’1 gennaio), vuoi anche perché l’accredito dello stipendio sopra i 999 euro resta impossibile in contante, nonché per la comodità che esso garantisce al titolare, che evita i rischi di tenere molta liquidità a casa.

Anche l’abbattimento dei costi degli ultimi anni lo rende appetibile e al termine del 2015 gli italiani vi tenevano depositati ben 877 miliardi, più della metà dell’intero pil e registrando una crescita di 68 miliardi in 12 mesi. I conti deposito hanno una natura diversa, legata maggiormente all’investimento, per quanto sicuro e molto semplice. Si tratta di conti bancari, sui quali si vincola il proprio denaro per un determinato lasso di tempo (da un solo mese fino a 4 anni, generalmente), in cambio di un rendimento. Questo viene parzialmente o totalmente annullato, nel caso di ritiro anticipato di almeno parte della somma vincolata, anche se negli ultimi tempi, per attirare liquidità, le banche offrono ai clienti la sicurezza di un tasso di base minimo (0,50% su base annua, il livello più comune), con il quale sarà remunerato il risparmio ritirato in anticipo o l’intero conto, in caso di violazione del vincolo temporale minimo fissato. I rendimenti sono oggi molto contenuti, raramente raggiungono il 2% per le scadenze più lunghe e di solito solo per gli istituti più “affamati” di liquidità. Si consideri, ad esempio, che su qualche conto deposito a 2 anni, Unicredit offre oggi lo 0,15%.
E parliamo di lordo. Al 31 dicembre scorso, gli italiani avevano investito quasi 252 miliardi in questi strumenti.      

Gli altri prodotti bancari

Simili ai conti deposito, ma diversi nel funzionamento sono i certificati di deposito, che staccano periodicamente in favore del titolare una cedola fissa o variabile. Le somme investite possono essere ritirate prima della scadenza, specie se inferiore ai 18 mesi, ma possono essere ceduti a terzi e, quindi, ugualmente monetizzati. Hanno una durata minima di 3 mesi e una massima di 5 anni. Alla fine del mese scorso dovrebbero essercene stati in circolazione circa 25 miliardi di euro. E arriviamo ai pronti contro termine, un prodotto apparentemente poco diffuso, mentre attira investimenti per oltre 150 miliardi. Si tratta di un contratto, con cui la banca vende al cliente titoli per un periodo massimo di un anno (in media, di poche settimane), impegnandosi a riacquistarli a un prezzo e a una data prefissati. Il rendimento dell’operazione è dato proprio dalla differenza tra il prezzo di rivendita del pacchetto titoli e quello di acquisto. Infine, le obbligazioni bancarie. Vituperate come mai in questi mesi, dopo l’azzeramento dei bond subordinati emessi dai 4 istituti salvati alla fine di novembre dal governo, impiegavano alla fine di gennaio 378,5 miliardi di liquidità della clientela. Di questi, si stima che poco più di una sessantina di miliardi sono del tipo subordinato. Offrono rendimenti più dignitosi di un conto deposito, ma presentano un rischio maggiore, specie perché con le nuove norme sui salvataggi bancari (“bail-in”), persino i bond senior possono essere coinvolti nelle perdite dell’istituto emittente.