L’Italia è un salvadanaio pieno. Nonostante se ne parli quasi sempre male sul piano economico per notarne l’elevato indebitamento pubblico, i risparmi delle famiglie restano elevati. L’intera ricchezza finanziaria privata ammontava a 5.300 miliardi di euro alla fine del 2021. In pratica, tre volte il PIL. Comprendendo anche la ricchezza immobiliare e di beni fisici come oro, gioielli, opere artistiche, veicoli e natanti, arriva a 10.000 miliardi, oltre 5,5 volte il PIL. Circa 1.800 miliardi, il 34% della ricchezza finanziaria, risultava investita in fondi, il 27% in depositi, il 24% in azioni e partecipazioni e solamente il 4% in obbligazioni.

La quota dedicata ai bond è molto bassa, ma chissà se il rialzo dei rendimenti di questi mesi non abbia accresciuto l’appetito degli investitori. C’è un aspetto poco indagato, che la dice lunga sulla crisi dell’economia italiana. Il presidente dell’Associazione Bancaria Italiana (ABI), Antonio Patuelli, ha notato nei giorni scorsi che il 75% dei risparmi delle famiglie risulta investito all’estero e solamente il 25% resta in Italia. In altre parole, noi italiani siamo un popolo di formiche. Malgrado le enormi difficoltà incontrate in questi lunghi anni di crisi, riusciamo a contenere le spese e a vivere entro i limiti delle nostre possibilità. Tuttavia, il frutto di tali sacrifici prende la via dell’estero. I fondi comuni sottoscritti dalle famiglie italiane investono nei titoli emessi dalle imprese italiane meno del 3% delle risorse raccolte, quasi il 50% nei titoli emessi dalle imprese straniere.

Pochi risparmi delle famiglie in Italia, perché?

Da cosa dipende questo enorme squilibrio? Tanti sono i fattori. L’Italia continua ad avere una struttura produttiva caratterizzata da piccole imprese, verso le quali il mondo della finanza nutre scetticismo e, anche volendo, non disporrebbe tecnicamente degli strumenti per investirvi. Secondariamente, abbiamo anche lo stesso sistema finanziario poco sviluppato, con la conseguenza che i grandi fondi d’investimento arrivano dall’estero, raccolgono i risparmi delle famiglie italiane e li investono nei rispettivi paesi d’origine, che meglio conoscono.

Ma è indubbio che vi sia una carente fiducia nel sistema Italia, comprese le stesse famiglie. Pensate che appena il 5% del debito pubblico italiano risulta in mano direttamente ai risparmiatori del Bel Paese. La quota era al 90% agli inizi degli anni Novanta. Per porre rimedio a tale evidenza, negli anni passati il governo introdusse i PIR, Piani Individuali di Risparmio. Sono strumenti finanziari oggetto di benefici fiscali nel caso in cui investano almeno il 70% dei capitali raccolti in strumenti emessi dalle società italiane.

Si è anche discusso di CIR, Conti Individuali di Risparmio, finalizzati a incentivare gli investimenti nei titoli del nostro debito pubblico. Espedienti che non sarebbero da soli in grado di riequilibrare i numeri a favore del sistema Italia. Serve il recupero del bene fiducia, andato perduto in trenta anni di mancate riforme, di allarmismi spesso esasperati più per ragioni di conflittualità politica che reali, di assenza di crescita e iper-tassazione. Non a caso, l’appello che Patuelli ha lanciato consiste nel detassare i risparmi. Sembra l’esatto opposto di qualsiasi agenda politica sia stata adottata nell’ultimo decennio.

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