Quando i soldi in cassa sono pochi, bisogna lesinare ogni centesimo per destinare le risorse ai numerosi obiettivi che naturalmente ogni governo si pone davanti a sé. Ma il taglio del cuneo fiscale ci aiuta a comprendere come spesso il rischio sia di fare la cosa giusta nel modo sbagliato. La Legge di Bilancio 2024 conferma e rende definitivo l’abbattimento della contribuzione Inps a carico dei lavoratori dipendenti. Sui redditi fino a 25.000 euro lordi all’anno ci sarà una riduzione del 7%, mentre tra 25.001 e 35.000 euro scenderà al 6%.

I redditi lordi sopra 35.000 euro non beneficeranno della misura.

Abbiamo già avuto modo di vedere come coloro che dichiarano almeno 35.000 euro all’anno siano in Italia appena il 14% e versino allo stato quasi il 60% del gettito Irpef complessivo. Ma non è questo il fulcro del ragionamento in questo articolo. Dovete sapere che il taglio del cuneo fiscale è stato congegnato per “fasce” e non per “scaglioni”. La differenza non è soltanto lessicale, ma sostanziale. Vediamola.

Taglio cuneo fiscale distorsivo

Un lavoratore che percepisce 25.000 euro lordi all’anno, beneficerà di uno sgravio contributivo di 1.600 euro. Un lavoratore che percepisce 25.001 euro, per il solo fatto di superare la prima fascia di reddito valida per il taglio del cuneo fiscale, beneficerà di uno sgravio di 150 euro in meno all’anno. Non sarà una grossa perdita, ma la distorsione esiste ed è grave. Il peggio arriva a cavallo dei 35.000 euro. A quella soglia, il beneficio sarà massimo in valore assoluto, cioè di 1.900 euro lordi. Appena il lavoratore dichiarerà 35.001 euro, perderà tutto: -1.100 euro netti in meno all’anno.

Capite benissimo che questo sistema di calcolo sia demenziale, non funzioni e, anziché incentivare al lavoro, porterà all’esatto contrario. Un lavoratore a ridosso dei 35.000 euro, eviterà di farsi qualche straordinario per restare sotto la soglia che gli consenta di beneficiare ancora del taglio del cuneo fiscale.

Troverà persino poco o affatto conveniente chiedere un aumento dello stipendio all’azienda per cui lavora, a meno che questi non fosse nettamente superiore alla perdita subita. In buona sostanza, il taglio del cuneo fiscale in queste modalità tecniche rischia di allargare l’economia sommersa e a ridurre la propensione al lavoro.

Sistema per fasce crea inefficienze

Vero è che si tratterebbe di una soluzione transitoria, dato che il governo Meloni punta ad assoggettare progressivamente tutti i lavoratori dipendenti, quale che sia la loro fascia di reddito di appartenenza, al taglio del cuneo fiscale. Ma ciò non rende meno problematica la transizione. Proprio mentre serve recuperare potere di acquisto, potremmo assistere a una sorta di impasse nel confronto tra sindacati e imprese, perché rivendicare aumenti salariali si traduce in un peso proprio per i lavoratori che dovrebbero giovarsene.

L’idea di procedere a fasce, anziché per scaglioni, l’abbiamo trovata anche in sede di rivalutazione delle pensioni e francamente non va. E’ un modo sbrigativo di fare i conti con le disponibilità di bilancio, ma pessimo di gestire soluzioni che riguardino il mondo del lavoro e dei pensionati. Tra taglio del cuneo fiscale e delle aliquote Irpef, il governo di centro-destra sta andando nella giusta direzione di rendere più appetibile il lavoro, riducendo le inefficienze del sistema contributivo e fiscale. Le modalità di esecuzione rischiano di fare rientrare dalla finestra ciò che stiamo cercando di spingere fuori dalla porta.

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