Germania e Francia hanno avviato le trattative per cercare di arrivare a un accordo sul Patto di stabilità. In assenza di modifiche, l’apparato delle regole fiscali in vigore dal 1997 e sospeso dal 2020 per la pandemia tornerebbe intatto. Tuttavia, la Commissione europea stessa ha preso atto che non sia più al passo con i tempi. Esso prevede un tetto massimo al deficit fiscale al 3% del PIL e al debito pubblico al 60%. I tedeschi chiedono un’applicazione più rigorosa, automatica e scevra da considerazioni politiche.

I francesi invocano margini fiscali per gli investimenti.

Italia minaccia veto su modifiche

E l’Italia? Chiede da tempo di scorporare dal Patto di stabilità le spese per gli investimenti, a favore della transizione energetica e della difesa. Ma pur di non accettare le condizioni poste sul tavolo da Berlino, sarebbe propensa a far entrare in vigore le vecchie regole. La paura del governo di Roma sarebbe di dover risanare i conti pubblici più velocemente di quanto sinora previsto. E non sarebbe facile, visto che l’Italia si aspetta di rientrare sotto il 3% di deficit solo a partire dal 2026.

E non è l’unico punto ad impensierire la premier Giorgia Meloni. Il governo Scholz propone di ridurre il rapporto debito/PIL almeno dell’1% all’anno. In assenza di crescita economica, sarebbe un’impresa. E l’economia italiana è entrata in stagnazione dopo il maxi-rimbalzo registrato a seguito del crollo provocato dal Covid. Le incertezze sul Patto di stabilità iniziano a spazientire i mercati finanziari. Nelle ultime settimane, lo spread è risalito fino ad oltrepassare i 200 punti base, pur rientrando agli attuali 185 punti. Gli investitori cercano di capire sotto quali regole fiscali inizierà il 2024 e quali saranno i margini di bilancio a disposizione degli stati.

Germania divisa su riforma

La Germania è la vera fonte di incertezza in questa fase. Da un lato ci sono i Verdi a chiedere un allentamento delle regole fiscali, dall’altro i liberali a pretendere il ripristino delle vecchie regole.

Entrambi sono componenti della maggioranza di governo e praticamente litigano su tutto. Nel mezzo c’è un cancelliere Olaf Scholz, socialdemocratico, impopolare e impalpabile a Berlino così come a Bruxelles. Trattare con i tedeschi significa in questi mesi non sapere neppure quale sia la vera linea negoziale della controparte. La sensazione è che Scholz, paralizzato dalle tensioni interne al suo governo, preferisca non apportare alcuna modifica al vecchio Patto di stabilità, agendo d’inerzia.

Non è quello che i mercati vorrebbero vedere in un mondo che cambia alla velocità della luce e drammaticamente. Tra pandemia, crisi energetica, guerra tra Russia e Ucraina e ora anche tra Israele e Hamas, l’Europa è rimasta immobile, non ha dato la sensazione di capire i cambiamenti avvenuti. Trascorrere mesi a dibattere su questa o quella percentuale, questo o quell’automatismo nell’implementazione delle regole fiscali significa sostanzialmente segnalare di non avere capito nulla.

Incertezze su Patto di stabilità punisce l’Italia

L’Italia paga le incertezze più di tutti gli altri. Avendo il secondo debito pubblico più alto dopo la Grecia, ha bisogno di un avallo di Bruxelles nel godimento dei margini fiscali per gli investimenti e la spesa corrente. Senza, le tensioni porterebbero alla fuga dai BTp come avvenne nel 2018 quando il governo Conte si scontrò con la Commissione sulla fissazione del deficit per l’anno successivo. E’ chiaro che Meloni non voglia neppure sentire parlare di questo scenario. Punta ad ottenere le migliori condizioni possibili dalla trattativa in corso, consapevole che difficilmente avrà quel che spera. Solo una pesante recessione riuscirebbe a cambiare leitmotiv a Bruxelles. Ma a parte che siamo già a fine anno e mancano poche settimane per sventare il ritorno del vecchio Patto di stabilità, anche quella sarebbe una prospettiva terribile per tutti.

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