L’ultima trimestrale di Unicredit ha fatto rumore. Profitti record per 8,6 miliardi di euro e l’annuncio di una loro distribuzione per il 100% sotto forma di dividendo. Le azioni in borsa hanno segnato un rialzo “intraday” questo lunedì fino alla doppia cifra. In termini di capitalizzazione, altri 4,5 miliardi di euro che portano il livello complessivo a quota 50 miliardi. Non può che esserci soddisfazione per Andrea Orcel, l’amministratore delegato arrivato a Piazza Gae Aulenti solamente tre anni fa e che può vantare risultati da record in così breve tempo.

Quando fu nominato dal board, la banca a Piazza Affari valeva appena 13,5 miliardi.

Boom per il margine di interesse Unicredit

Il successo di Unicredit è fuori discussione, ma vale la pena indagare sui dati che lo hanno reso possibile, perché in essi noteremo che ci sono anche alcuni sintomi della malattia di cui soffre l’economia italiana. L’anno scorso, l’istituto ha maturato ricavi per 23,84 miliardi, di cui per 14 miliardi grazie al boom del margine di interesse. Quest’ultimo rappresenta, se vogliamo, il guadagno che una banca riesce a percepire grazie alla sua attività caratteristica, cioè prestando denaro.

Come funziona una banca

Come funziona una banca non è difficile da capire. Essa prende il denaro depositato dai clienti e lo presta a famiglie e imprese, oltre che allo stato. Ai primi offre un certo tasso di interesse (passivo), ai secondi applica un interesse (attivo) su mutui e prestiti. Chiaramente, prestare denaro conviene fintantoché una banca riesce a ottenere dai prestiti interessi più alti di quelli sborsati sui depositi della clientela. Negli anni scorsi, è accaduto che il margine di interesse fosse basso. La Banca Centrale Europea (BCE) aveva azzerato i tassi per stimolare l’inflazione. E così, su prestiti e mutui i ricavi erano pochi, spesso a fronte anche di perdite su numerose inadempienze (mancate restituzioni).

Allo stesso tempo, i tassi alla clientela non potevano scendere sottozero, per cui a rimetterci era proprio l’attività caratteristica.

Unicredit guadagna di più prestando di meno

Con l’aumento dei tassi deciso per combattere l’alta inflazione, la situazione è mutata. Unicredit è passata da un margine di interesse di 10,7 a 14 miliardi in un solo anno. Dunque, è riuscita a guadagnare 3,3 miliardi in più (+31,3%) prestando denaro. Tra l’altro, ne ha prestato di meno. In effetti, le erogazioni sono diminuite di 23 miliardi a meno di 410 miliardi. Rapportando il margine di interesse al monte-prestiti, scopriamo che questi è lievitato dal 2,47% al 3,42%. A dire il vero, sono diminuiti anche i depositi dei clienti, ma in misura inferiore: -17,4 miliardi a meno di 475 miliardi.

Cosa ci raccontano queste cifre? Unicredit presta a famiglie, imprese e stato italiano meno denaro di quello che dispone. Per l’esattezza, a fine 2023 ne erogava per l’86,3% contro l’87,9% di un anno prima. I dati sono al netto dei pronti contro termine (pct). In Italia, complessivamente le banche prestavano nel novembre scorso circa 1.669 miliardi contro i poco più dei 1.736 miliardi di liquidità a disposizione (pct inclusi), al netto delle obbligazioni emesse. Il rapporto risultava del 96% e scendeva all’82% al netto dei prestiti allo stato.

Il ricordo dei crediti deteriorati

E questo è un trend che si registra ormai da numerosi anni. Fino al 2018, il monte-prestiti superava i depositi dei clienti. Da allora, accade il contrario. Ciò denota che le banche traboccano di liquidità, ma la prestano solo in parte. Perché? Evidentemente, non ritengono che sia profittevole prestarla tutta. E come mai? L’economia italiana non va così bene. Imprenditori e famiglie nel decennio passato arrivarono a non restituire fino a un quinto del totale dei prestiti ricevuti, una montagna che valse all’apice del fenomeno tra il 2015 e il 2016 fino a 360 miliardi.

Una roba enorme, se si pensa che Unicredit a dicembre aveva crediti deteriorati lordi per “soli” 11,7 miliardi, in calo dai 12,5 di un anno prima e pari al 2,7% dei prestiti inclusivi dei pronti contro termine.

E Unicredit è largamente rappresentativa del tessuto bancario domestico. Incide per oltre un quarto dei prestiti erogati e per quasi il 29% dei depositi in Italia. Probabile che le banche abbiano trovato negli ultimi anni più profittevole prestare denaro allo stato a fronte di rischio di credito sostanzialmente nulli e interessi relativamente elevati, nonché puntare sulla finanza per mettere a frutto la liquidità.

Pochi prestiti all’economia italiana

In altre parole, il successo di Unicredit spiega un paio di cose sull’economia italiana. In primis, perché i tassi sui depositi bancari restano bassi anche con la stretta monetaria degli ultimi tempi. Secondariamente, perché cresciamo sempre così poco. Il fatto è che i prestiti al settore privato risultano bassi e non finanziano né investimenti, né consumi durevoli a sufficienza.

Hanno ragione coloro che temono che la corsa ai BTp tra le stesse banche stia avvenendo a discapito proprio del settore privato? In economia, lo si definisce “effetto spiazzamento”. In teoria, sarebbe così. Ma gli stessi numeri di Unicredit spiegano che le banche italiane dispongono di margini per accrescere le esposizioni contemporaneamente verso lo stato, le imprese e le famiglie senza che nessuno di essi ci rimetta. E si spera che avverrà proprio questo sin dai prossimi mesi.

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