Lo stato eremita è diventato ancora più inaccessibile con il Covid, stavolta per necessità reale. Sospese le relazioni commerciali con la Cina, praticamente quasi le uniche intrattenute dalla Corea del Nord, isolata internazionalmente per via del suo armamento nucleare. Ufficialmente, non ci sarebbero contagi sul territorio nazionale, ma i dati reali non possono essere noti a nessuno, fuorché allo stesso regime. E’ molto difficile apprendere notizie su cosa accada a Pyongyang, ma l’unica certezza per il momento è che l’economia domestica sta collassando per l’impossibilità di esportare quel poco che già poteva essere esportato, così come per l’assenza di importazioni.
Eppure, secondo il Daily NK, quotidiano degli oppositori al regime all’estero, il won si sarebbe apprezzato a doppia cifra sia contro il dollaro che contro lo yuan. E già questa sarebbe una notizia paradossale. Come fa il tasso di cambio di un’economia praticamente morta a rivalutarsi contro le due principali divise straniere usate nel paese quasi come alternativa alla moneta domestica, oltre che per gli scambi? Ma c’è un’altra stranezza. A fronte di circa il +13% messo a segno contro il dollaro da ottobre, il won ha registrato un +30% contro lo yuan. E questo trend non sarebbe affatto coerente con l’andamento del cambio tra yuan e dollaro, dato che nello stesso frangente la valuta cinese si è rafforzata contro quella americana di circa un paio di punti. Questo significa che per un cittadino nordcoreano risulta oggi possibile acquistare yuan a prezzi molto più bassi di quelli che gli verrebbero pagati scambiandoli contro dollari. L’arbitraggio frutterebbe almeno un 15%, un modo inedito di fare soldi nella Corea del Nord, sebbene non sappiamo se il trading dei cambi sia possibile. Nelle scorse settimane, un alto funzionario dell’ufficio valute è stato condannato a morte, accusato di essere stato responsabile della volatilità del won a fine estate.
In ogni caso, questo business avverrebbe alle spese della banca centrale, che venderebbe nei fatti valute estere a valori inferiori a quelli reali.
Il bond in dollari della Corea del Nord non è un segnale di apertura al mondo
Il mistero del super won
Troviamo abbastanza remota la possibilità che ciò avvenga, anche solo per il fatto che l’istituto non disporrebbe di riserve valutarie sufficienti per finanziare simili operazioni. Per questo, tendiamo ad escludere anche che in piena pandemia il regime voglia appositamente rafforzare il cambio. Lo farebbe verosimilmente in una fase diversa da quella attuale, in cui la pura sopravvivenza è diventata la politica basilare da perseguire. Probabile, quindi, che il rafforzamento del cambio sia dovuto semplicemente al crollo delle importazioni, che avrebbe superato quello delle esportazioni, generando un piccolo surplus commerciale. Inoltre, data la scarsa disponibilità di prodotti anche di base, Pyongyang potrebbe avere deciso di restringere il credito per contenere la crescita dei prezzi, riducendo l’offerta di moneta. E questo starebbe sostenendo il won.
Ma allora, perché si rafforza più contro lo yuan che contro il dollaro? L’unica spiegazione apparentemente convincente sarebbe la seguente: la valuta cinese verrebbe utilizzata perlopiù per importare merci dalla Cina. Con lo stop alle relazioni commerciali tra i due paesi, la domanda di yuan si sarebbe praticamente azzerata, facendone collassare i tassi di cambio. Il dollaro è impiegato più diffusamente per commerciare con l’estero, ma anche come riserva di valore. Molti nordcoreani lo acquisterebbero al mercato nero per proteggersi contro la perdita del potere di acquisto. Dunque, starebbe deprezzandosi di meno, pur in assenza di domanda per le importazioni.
A gennaio, si terrà l’ottavo congresso del Partito dei Lavoratori e in quell’occasione Kim Jong-Un svelerà il prossimo piano quinquennale per l’economia.
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