C’è attesa per la pubblicazione del dato sull’inflazione negli Stati Uniti nel mese di aprile. A marzo si è assistito alla seconda accelerazione su base annuale, con il dato ad essere salito al 3,5%, ben distante dal target del 2% fissato dalla Federal Reserve. E oggi un altro dato ha rafforzato l’ipotesi di una crescita dei prezzi non sotto controllo, malgrado la retorica del governatore Jerome Powell. I prezzi alla produzione di aprile sono aumentati del 2,2% su base annuale dal 2,1% di marzo e dello 0,5% mensile dal -0,1%.

Nel primo caso si è trattato del dato più alto da un anno e anche della quarta lettura superiore alle attese.

Segnali negativi

Nel frattempo, la Fed di New York ha realizzato un sondaggio dal quale è emerso che le aspettative d’inflazione negli Stati Uniti si siano “surriscaldate” tra i consumatori rispetto a marzo: attesa al 3,3% per i prossimi dodici mesi dal 3%, in calo al 2,8% dal 2,9% per i tre anni e al 2,8% dal 2,6% per i prossimi cinque anni. Del resto, anche il mercato obbligazionario manda segnali poco rassicuranti. Il “breakeaven” a 5 anni, cioè la differenza di rendimento tra i Treasury con cedola fissa e Tips con cedola variabile, si attesta ancora sopra il 2,30%. Esso capta l’inflazione attesa negli Stati Uniti nella media quinquennale.

Inflazione Stati Uniti e previsioni tassi Fed

E così il rendimento del Treasury decennale è arrivato a salire oggi sopra il 4,50%, mentre le aspettative sui tassi di interesse restano molto tiepide. Il mercato non sconta un taglio prima del prossimo novembre, praticamente subito dopo le elezioni presidenziali. Entro fine anno, il costo del denaro scenderebbe di appena mezzo punto percentuale dal range del 5,50-5,75% odierno. Ma siamo così sicuri che vi siano, allo stato attuale, le condizioni per un allentamento monetario? Con l’inflazione negli Stati Uniti che tende ad allontanarsi dal target, una sorpresa negativa questa settimana finirebbe per alimentare previsioni finanche rialziste sui tassi Fed.

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