Si chiama Keir Starmer, ha quasi 62 anni, è avvocato e da dieci anni insignito del titolo di cavaliere commendatore, ragione per cui può mettere davanti al proprio nome “Sir”. Da leader del Labour Party sin dal 2020 ha trionfato alle elezioni generali di ieri nel Regno Unito, conquistando – si stima – 410 seggi sui 650 del Parlamento di Westminster. Ha travolto i suoi avversari conservatori, che risultano crollati ad appena 131 seggi, il loro peggiore risultato sin dalla Seconda Guerra Mondiale. Viceversa, per i laburisti è stato ottenuto il secondo migliore risultato dopo quello che nel 1997 portò Tony Blair a Downing Street.

Questione di ore e Carlo III lo riceverà a Buckingham Palace per chiedergli di formare il prossimo governo di Sua Maestà.

Starmer lontano da Corbyn

La schiacciante vittoria di Starmer non si deve, a detta degli opinionisti in patria, a doti di leadership o di comunicazione brillanti. Anzi, sembra un segretario piuttosto pallido. Per lui hanno lavorato i Tories, un partito schizofrenico e al governo da 14 anni, che sono riusciti dell’impresa demenziale di divorare un primo ministro dopo l’altro tra una scorribanda e l’altra al loro interno. L’uomo è un avvocato centrista, lontano dalle posizioni del suo predecessore Jeremy Corbyn, espulso dal partito per posizioni giudicate antisemite. Peccato per lui che Corbyn abbia corso da indipendente e ieri abbia ugualmente vinto il seggio.

Domanda di competenza nel regno

Sappiamo che Starmer di certo non ha pulsioni ostili allo stato di Israele, essendo tra l’altro sposato con Victoria Alexander, anch’ella avvocato e di religione ebraica. La coppia ha due figli. La valanga rossa che ha appena travolto i Tories si trova sin da subito a fare i conti con una realtà complessa. L’umore degli elettori è mutevole. Meno di cinque anni fa sembrò che Boris Johnson fosse destinato a governare per chissà quanti anni.

Sarebbe stato costretto alle dimissioni nell’estate del 2022, a causa dell’impopolarità dilagante e seguita a numerosi scandali “home made”.

Perché gli elettori britannici hanno preferito la proposta politica di Starmer? Secondo un sondaggio proposto dal Financial Times, perlopiù per votare contro il premier uscente Rishi Sunak. Al di là dei limiti personali, questi ha ereditato una situazione ingarbugliata sul piano politico e probabilmente i due anni al governo come primo ministro non sono stati sufficienti per invertire la rotta. I sudditi chiedono essenzialmente una gestione più competente dei servizi pubblici e dell’economia.

Sanità al collasso

Il National Health Service (NHS), ossia il servizio sanitario dello stato, è a dir poco inefficace. Se ne parla da qualche decennio e nessuno è riuscito a capire come potenziarlo. Non si tratta (solo) di spendere di più, visto che già il governo dedica oltre l’8% del Pil a questa voce di bilancio (in Italia al 6,5%). Resta il fatto che le liste di attesa siano infinite, che il medico di base non si trova, che gli ospedali abbiano pochi infermieri, tant’è che negli anni sono stati spesso importati da paesi come l’Italia (avete capito bene) e le cure appaiono striminzite rispetto ai bisogni.

Conti pubblici in profondo rosso

La sanità sarà probabilmente il principale problema a cui dovranno porre rimedio nei prossimi decenni i governi europei. Non sarà l’unico grattacapo per Starmer. I conti pubblici non se la passano bene. Il debito è esploso quasi al 100% del Pil e il Regno Unito ha perso il rating tripla A. Il deficit supera ancora il 4%. Insomma, ci sarà bisogno di austerità fiscale, piaccia o meno. Non a caso Sunak ha fino a ieri sera twittato che i laburisti aumenteranno le tasse. I vincitori negano che il piano riguarderà i lavoratori. Ma sembra che all’orizzonte vi siano certamente più tasse.

D’altronde, era implicitamente scritto nello stesso programma dei Tories. I buchi di bilancio qualcuno li dovrà pagare e nessuno sembra attrezzato per poter proporre e attuare una riduzione della spesa pubblica. David Cameron ci rimise le penne per questo.

City e sterlina da preservare

In un mondo che si evolve e che guarda con maggiore diffidenza agli Stati Uniti, il ruolo della sterlina va preservato. La sua percentuale tra le riserve valutarie globali è cresciuta negli ultimi decenni e si attesta attualmente intorno al 5%. Solo un governo capace di garantire un bilancio ordinato e un’economia in crescita può consolidare questo trend, magari anche a discapito dell’euro, le cui ambizioni sono puntualmente tradite dall’eterogeneità dei fini politici all’interno dell’Eurozona.

Infine, ma non per importanza, la City. Se Londra è Londra, lo si deve in gran parte alla sua potente piazza finanziaria. La Brexit poteva e può rappresentare ancora una minaccia, anche se le alternative europee non sembrano ad oggi essere state all’altezza. A queste elezioni i finanzieri hanno tifato per il Labour, per cui non ci si aspetta che il prossimo governo si metta di traverso in maniera plateale dinnanzi alle loro richieste. E ribadiamo che Starmer è un centrista in stile blairiano, apparentemente lontano da suggestioni socialiste.

Starmer dovrà dare risposte veloci

Non abbiamo elencato tra i problemi la Brexit, semplicemente perché è un dato di fatto. A differenza di cinque anni fa, nessun partito ha più fatto campagna per rivedere l’uscita dall’Unione Europea. Le attese con Starmer primo ministro sono per un riavvicinamento tra Londra e Bruxelles nel senso di una maggiore sintonia e collaborazione, non certo di una ridiscussione del referendum di otto anni fa. Il principale fattore di cui il nuovo inquilino di Downing Street dovrà tenere conto è il tempo. Gli esiti elettorali confermano che i cittadini sono diventati sempre più impazienti nel mondo ricco.

Non aspettano anni prima che i problemi si risolvano. Vogliono che tutto migliori quasi subito. E questa è la grande debolezza attuale delle liberaldemocrazie nei confronti dei sistemi autocratici come Cina e Russia. Lì, non c’è fretta.

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