Lo Ior (Istituto per le Opere Religiose) ha chiuso il 2016 con un utile netto di 36 milioni, che risulta più che raddoppiato rispetto ai 16,1 milioni dell’anno precedente. Rispetto alla media dei 5 anni precedenti e pari a 39 milioni, si registra una contrazione, ma va detto che il risultato si mostra molto variabile di anno in anno. Dal 2011 ad oggi, ad esempio, esso ha toccato un minimo di 2,9 milioni nel 2013 e un massimo di 86,6 milioni nel 2012.

Tornando al 2016, la banca vaticana ha gestito 14.960 clienti per risorse complessive di 5,7 miliardi, in lieve contrazione dai 5,8 miliardi dell’anno precedente, di cui 3,7 miliardi relativi al risparmio gestito e alla custodia titoli.

Nel 2013, i clienti erano 18.900, per cui da allora risultano diminuiti di oltre il 20%. Di questi, il 54% è costituito dagli ordini religiosi, l’11% da dicasteri della Curia Romana, uffici della Santa Sede e Stato Vaticano e nunziature apostoliche, il 9% da enti di diritto canonico, l’8% da cardinali, vescovi e clero, l’8% da conferenze episcopali, diocesi e parrocchie, il resto da dipendenti e pensionati del Vaticano. (Leggi anche: Rivoluzione di Papa Francesco in Vaticano: bilancio Ior non più segreto)

Grazie alla razionalizzazione dei contratti di servizio con terzi, i costi operativi sono scesi da 23,4 a 19,1 milioni. Il patrimonio, al netto degli utili distribuiti, si attestava al 31 dicembre scorso a 636,6 milioni, in calo dai quasi 654 milioni del 2015. In ogni caso, esso consente all’istituto di godere di un Cet 1 ratio del 64,53%, segnalando una solidità patrimoniale praticamente irraggiungibile per una banca ordinaria. Si consideri che il livello di capitalizzazione sugli attivi in Italia per le grandi banche varia dal 10% al 20%. Il dato rifletterebbe un impiego più scrupoloso dei fondi dei clienti, i quali non possono più finanziare operazioni speculative, cosa che da un lato accresce la solidità bancaria, dall’altro ne limita i guadagni potenziali.

Si punta sulla trasparenza

Il bilancio è stato certificato dalla società di consulenza Deloitte e sin dal 2012 riceve il sigillo di Moneyval del Consiglio d’Europa.

Entro quest’anno dovrà concludersi la fase due della riorganizzazione voluta dalla Santa Sede, che punta a una maggiore trasparenza e all’adeguamento alle normative internazionali anti-riciclaggio, dopo che nel 2013 le sue transazioni finanziarie furono bloccate dalle autorità italiane. Adesso, lo Ior è rientrato nella “white list” dal marzo scorso, dopo avere siglato un’apposita convenzione sulla trasparenza con il governo italiano, avendo superato i dubbi degli organismi internazionali, ma a costo di avere dovuto tagliare migliaia di conti dormienti e clienti laici, che sulla base dello statuto non avrebbero potuto intrattenere rapporti con la banca.

Già nel rapporto del 2014, si legge che il cliente tipo della banca vaticana dovrebbe essere una congregazione, che operando in un paese in via di sviluppo, fornendo assistenza sanitaria e scolastica ai bambini, si serve di fondi in arrivo dal resto del mondo. Fondi, che lo Ior trasferirebbe alla congregazione, curandosi non solo di un ottimo rapporto costi-benefici, ma anche del rispetto delle norme anti-riciclaggio.

Il presidente del Consiglio di Sorveglianza, Jean Baptiste de Franssu, osserva che l’istituto proseguirà su questa opera di trasparenza, di migliore esperienza dei clienti, sviluppando gli investimenti etici e migliorando la governance.