Il Patto di stabilità rimarrà sospeso anche per tutto il 2023, ma l’anno prossimo la Commissione europea si riserva il diritto di aprire la procedura d’infrazione per deficit eccessivo a carico di alcuni paesi. Una doccia fredda che certamente non si attendeva il premier Mario Draghi, perché nel mirino dei commissari vi sono i conti pubblici italiani. A loro dire, infatti, il nostro Paese non starebbe contenendo la spesa pubblica corrente. Ed ecco le richieste di Bruxelles a Roma: avanti con le riforme previste dal Pnrr, tra cui particolarmente quella fiscale.

Bisogna, anzitutto, spiega la Commissione, portare i valori catastali in linea con quelli di mercato. Per l’Europa, l’Italia continua a mostrare uno squilibrio macroeconomico eccessivo, a causa del suo elevato debito pubblico e della debole competitività. Ma il commissario agli Affari monetari, Paolo Gentiloni, si è affrettato a rassicurare che non vi sarebbe alcuna richiesta europea di innalzare la tassazione sulle case.

La Commissione vuole più tasse sulla casa

Sarà che Gentiloni creda che gli italiani abbiano così scarse capacità intellettive da non capire che aumentare i valori catastali significa automaticamente tassare di più le case. A meno di non ridurre proporzionalmente le aliquote IMU, un fatto che non eviterebbe comunque la stangata a carico di alcune famiglie. Il gettito nel migliore dei casi rimarrebbe invariato nel suo complesso, ma alcuni pagherebbero certamente di più e altri di meno (molto improbabile). E i valori catastali incidono sulla determinazione di una serie di imposte, oltre che dei redditi ISEE.

Insomma, Draghi è stato bocciato sui conti pubblici, che sarebbero dovuti essere il suo fiore all’occhiello. Non si sarebbe mostrato in grado di contenere la spesa corrente, cioè quella slegata da fattori eccezionali come pandemia e guerra. E come dare torto ai commissari, se è vero che spese come il reddito di cittadinanza sono state aumentate.

Per non parlare della patologia dei bonus, che con l’attuale governo non è affatto venuta meno. Tutt’altro.

Torna l’attenzione sui conti pubblici

Ma non sarà quasi certamente Draghi a raccogliere la sua stessa eredità. Tra un anno al massimo, le elezioni politiche decreteranno la nascita di un nuovo governo. E possiamo stare certi che i toni dell’Unione Europea, complice la fine (si spera) della pandemia e della guerra (si spera anche questo), muteranno. Mentre la BCE dovrà restringere le condizioni monetarie per contrastare l’alta inflazione – Christine Lagarde ha parlato di uscita dai tassi negativi “entro settembre” – la Commissione tornerà a pretendere il rispetto delle regole fiscali. Non saranno verosimilmente quelle pre-Covid, sebbene non siano state ancora riformate. Ma pare di capire che i commissari assegneranno obiettivi specifici a ciascun paese, violati i quali si aprirebbe la procedura per deficit eccessivo.

All’Italia sarà con ogni probabilità richiesto il rientro dall’alto rapporto debito/PIL. La discesa appare al momento facile per via dell’elevata crescita del PIL nominale. Ma dall’anno prossimo le cose si complicherebbero. Le stime della stessa UE parlano di una crescita dell’Italia dell’1,9%. Per abbassare il rapporto almeno di un paio di punti percentuali, ci servirà confidare nell’inflazione, che non è certo un bene per l’economia italiana. La pacchia sta per finire, anzi i mercati ci segnalano che sia già finita. Se non ci fosse Draghi a Palazzo Chigi, staremmo gridando all’allarme spread da mesi.

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