A Cuba è tornato lo spettro del “periodo speciale”, espressione utilizzata dai leader comunisti per riferirsi agli anni bui immediatamente successivi alla caduta dell’Unione Sovietica, principale finanziatore del regime castrista. Allora, la penuria di generi alimentari divenne così evidente, che la gente fu costretta a mangiarsi i gatti randagi trovati per strada. Per evitare che si torni a quel periodo lì, il presidente Miguel Diaz-Canel ha disposto il razionamento di cibo e altri prodotti di base, al fine di “distribuirne le quantità in maniera equa”.
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Il regime di Nicolas Maduro è al collasso economico e finanziario e ha dovuto ridurre dei due terzi le esportazioni di petrolio a prezzi sussidiati, che garantivano a Cuba il rifornimento energetico praticamente gratis, se si considera che grossa parte della bolletta veniva pagata con l’invio di militari e medici nel paese andino a tariffe gonfiate. A proposito, il nuovo presidente brasiliano Jair Bolsonaro, appena insediatosi a gennaio, ha dato il benservito a L’Avana, rispedendo a casa le decine di migliaia di medici presenti sul territorio nazionale e che nei fatti davano modo al Brasile per finanziare il regime comunista.
Infine, il presidente Donald Trump. Ha quasi azzerato le aperture storiche del precedessore Barack Obama, spegnendo sul nascere la speranza di un ritorno alla crescita dell’economia. Anzi, nel triennio passato il pil è aumentato al ritmo medio dell’1% all’anno. La produzione nazionale è scarsa, solo le importazioni di generi alimentari costano 2 miliardi all’anno e con l’afflusso netto di minori dollari per via anche di un turismo stagnante e di importazioni crescenti in valore, il ministro del Commercio, Betsy Diaz Velazquez, non ha trovato di meglio che annunciare venerdì scorso il razionamento: alla cassa non ci si potrà presentare con più di 4 pacchi di latte in polvere a persona, più di 4 pacchi di salsicce e 5 di piselli, etc.
Rischio tensioni sugli scaffali vuoti
Non fatevi ingannare dalle quantità: le limitazioni riguardano i magazzini più grossi, dai quali si riforniscono spesso i piccoli negozi, che non hanno accesso diretto né alle importazioni dall’estero, né alle catene dei grossisti, monopolio di stato. Per questo, il rischio che gli scaffali già semi-vuoti di questi ultimi tempi diventino sempre più simili a quelli del Venezuela di questi anni sale repentinamente, quando già oggi riso, carne di maiale e uova, solo per citare alcuni alimenti base, languono. Secondo le statistiche nazionali, a marzo sono state prodotte 900.000 uova al giorno in meno rispetto alle 5,7 milioni minime necessarie per soddisfare la domanda, in aprile -600.000. E anche la produzione di carne suina si attesterebbe diverse centinaia di tonnellate al di sotto dei minimi necessari.
Per fortuna, nessuno prevede per ora un ritorno agli anni Novanta, cionondimeno la vita si fa sempre più difficile per i cubani, dove la fine del castrismo non ha coinciso con l’avvio di quella stagione attesa di riforme. Il settore privato cresce di peso, ma il libero mercato resta un miraggio. Quanto al razionamento, riguarda i beni sussidiati dallo stato, cioè quelli che vengono venduti per pochi centesimi, a prezzi bassissimi per gli standard internazionali, mentre quelli “liberalizzati” non saranno intaccati. Questo spingerebbe i cubani a spostarsi verso il mercato libero, ma con salari così bassi, in pochi potranno realmente permetterselo, mentre probabile che ciò alimenti tensioni per via delle percepite crescenti disparità sociali in un’isola che vive ancora sotto un’economia pianificata e in cui la libera iniziativa è solo marginalmente consentita e tollerata.