Il fondo sovrano norvegese (SWF) ha chiesto nei giorni scorsi al Ministero delle Finanze di Oslo il permesso di investire anche in fondi azionari. Secondo le indiscrezioni, pare che il governo scandinavo possa concedergli di farlo e di innalzare sopra il 10% la soglia del capitale azionario detenuto in una società quotate in borsa. Dunque, al fine di mantenere invariata la quota destinata al comparto equity, al fondo sarebbe consentito di puntarvi fino al 4% dei suoi assets e per un ammontare non superiore del 6% dell’investimento totale in azioni.

Poiché attualmente esso detiene assets per circa 1.100 miliardi di dollari, grosso modo verrebbero liberate risorse attorno ai 45 miliardi in favore dei fondi azionari. (Leggi anche: Come la Norvegia influenza gli stipendi dei manager in tutto il mondo)

Ma per quale motivo la banca centrale norvegese, che gestisce l’SWF, vuole sbarcare anche sui fondi azionari? Ad oggi, Oslo può investire sul mercato azionario solo sui titoli quotati in borsa e, in via del tutto eccezionale, può acquisire quote di una società non quotata, purché abbia piani di imminente quotazione in borsa. In totale, esso detiene l’1,5% di qualsiasi società quotata nel mondo.

Soltanto un anno fa, l’SWF aveva chiesto e ottenuto dal governo la possibilità di aumentare dal precedente 60% al 75% gli investimenti in azioni sul totale degli assets, al fine di sfruttare i maggiori guadagni ottenibili dall’equity, tanto che ha stimato che nel prossimo decennio dovrebbe così maturare un ritorno annuo medio del 2,5% e del 3,5% medio nei prossimi 30 anni. Il comparto obbligazionario, invece, si attende che renda appena lo 0,25% nel prossimo decennio. La strategia di maggiore concentrazione sul comparto azionario ha alzato il rendimento atteso dell’intero fondo dal 2,1% e 2,6% rispettivamente nei 10 e 30 anni prossimi sotto le precedenti limitazioni.

Le ragioni della richiesta al governo

Perché puntare ancora sui fondi azionari? Secondo l’SWF, alcune realtà, come quelle tecnologiche, si mostrerebbero refrattarie a collocare in borsa un flottante di titoli sufficienti, per cui esso non riuscirebbe a captarne il trend positivo degli ultimi anni.

Lo farebbe tramite gli equity funds, che hanno anche il pregio di esibire rendimenti mediamente elevati, pur in calo negli ultimi anni a poco meno del 15% annuo tra il 2001 e il 2012. A conti fatti, se tutti i 45 miliardi fossero realmente investiti, il fondo sovrano norvegese arriverebbe a possedere circa l’1,8% dei 2.500 miliardi del mercato globale dei fondi azionari, stimati da un rapporto McKinsey.

Non è detto che Oslo riesca a dirottare improvvisamente tanta liquidità in poco tempo, né che trovi conveniente farlo. Un esempio? Già oggi non è riuscito a centrare il target di destinare il 5% dei suoi assets al comparto immobiliare privato globale, che vale sui 7.000 miliardi di dollari, fermandosi al 2,5%. In più, si consideri che nel 2017 i fondi azionari nel mondo hanno raccolto la cifra record di 453 miliardi di capitali, ma al contempo hanno accresciuto di ben 166 miliardi a oltre 1.000 miliardi l’ammontare delle risorse ancora non investite. In pratica, oggi come oggi i fondi azionari hanno fin troppa liquidità e non sanno nemmeno come impiegarla. L’eventuale sbarco dell’SWF su questo mercato non farebbe che accrescerne la dotazione, senza che ciò sia richiesto dalle attuali condizioni.

Emerge, comunque, come il maggiore fondo sovrano al mondo abbia sempre più l’esigenza di diversificare le fonti di investimento, dotato di liquidità abbondante, anche al costo di infrangere alcuni tabù, come quello di detenere quote significative e potenzialmente di controllo di una società quotata. Esso vale oggi il doppio del pil norvegese, grazie agli ingenti proventi del petrolio. E nei mesi scorsi, ha sorpreso il mondo finanziario, quando ha annunciato che gradualmente uscirà proprio dagli investimenti in società di idrocarburi, alle quali paradossalmente deve la sua stessa esistenza.

(Leggi anche: La Norvegia colpisce il petrolio saudita con l’annuncio shock di ieri)

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