Il “day after” è pieno di paure e tanta recriminazione. Le società di Serie A piangono lacrime di coccodrillo con la mancata proroga dei benefici fiscali connessi agli acquisti dei giocatori stranieri. Il mood è tutto negativo tra i grandi club, i cui dirigenti non lesinano critiche al governo Meloni. Proprio ora che il calcio italiano stava risalendo la china, sostengono, ecco arrivata la mazzata. Ci vuole un pizzico di fantasia, oltre che una montagna di faccia tosta, per rendere simili affermazioni.

La risalita della china per la Serie A la intravedono pochi addetti ai lavori. Vero, la scorsa stagione ha visto approdare tra squadre italiane in altrettanti tornei europei (Champions, Europa e Conference League). Ma nessuna tra Inter, Roma e Fiorentina ha portato a cassa la coppa.

Allarme Azzurri, dove sono i talenti italiani?

A fronte di risultati inesistenti sul fronte europeo, pesano alcuni accadimenti a dir poco allarmanti. Gli Azzurri non si sono qualificati agli ultimi due mondiali, sebbene abbiano vinto a sorpresa gli europei del 2021. A stento sono riusciti a qualificarsi ad Euro 2024. L’appeal della Serie A scema di stagione in stagione. La massima competizione calcistica nazionale ha accumulato quasi 5 miliardi di euro di debiti, perdendo la bellezza di 1 miliardo a stagione. Prima che entrasse in vigore il Decreto Crescita con annessi incentivi sull’acquisto dei giocatori stranieri nel 2019, i debiti erano pari a 4,4 miliardi. In pratica, non hanno fatto che salire.

Flop diritti TV conferma crisi del calcio italiano

Certo, c’è stata di mezzo la pandemia, ma vogliamo parlare dei diritti di Serie A? Per il triennio 2024-2027 sono stati venduti a 900 milioni di euro all’anno, meno dei 927,5 milioni del contratto in corso. Introdotto un meccanismo che porterebbe a 1 miliardo i ricavi annuali nel caso di superamento di determinate soglie di audience e abbonamenti alle pay tv.

Un modo per celare il passo indietro di un mercato che perde terreno nei confronti anche dei campionati un tempo considerati inferiori al nostro.

I benefici fiscali concessi alle società di Serie A avranno fatto risparmiare qualche soldo, in compenso non hanno attirato giocatori stranieri degni di nota. Lo stesso Cristiano Ronaldo venne alla Juventus prima che tale legge entrasse in vigore e a fine carriera per un colpo di testa dell’allora presidente Andrea Agnelli. Non portò fortuna ai bianconeri, tant’è vero che i risultati sportivi arretrarono in Champions e persino in patria. La legge sugli impatriati ha dato l’illusione di poter acquistare talenti a costi relativamente contenuti, ma la verità è che gli ingaggi sono diventati ancora più spropositati in Serie A, insostenibili e a fronte di benefici risibili e più che altro in relazione agli sponsor o inesistenti.

Serie A attività come le altre

E i talenti italiani? Basta seguire gli Azzurri in nazionale per capire che o non esistono o sono così acerbi da risultare inaffidabili. La Serie A non ha fatto altro che rimpiazzare i vivai con lo shopping all’estero di presunte stelle rivelatesi perlopiù patacche acquistate a caro prezzo. Dopodiché, è vero che in Italia si paghino molte tasse sugli stipendi, ma ciò riguarda tutti i lavoratori e non certamente i soli calciatori. I club di Serie A avrebbero fatto bene a reclamare non un privilegio ignoto alla generalità dei contribuenti, bensì un alleggerimento del carico fiscale a favore di tutti. Il lobbismo un tanto al chilo non convince per niente. Se è vero che il calcio va trattato come qualsiasi altra industria nazionale, bisogna invocare soluzioni per l’intero sistema Italia e non scappatoie per dilatare il pagamento delle imposte o per pagarne strutturalmente meno di altre attività. Per fortuna gli italiani non hanno l’anello al naso.

Tifosi sì, stupidi no.

[email protected]