Emmanuel Macron ha perso il primo turno delle elezioni legislative in Francia e con esso la scommessa di rivitalizzare il suo schieramento centrista. Propone un accordo con la sinistra per impedire alla destra di Marine Le Pen di arrivare al governo, ma si tratta pur sempre di una sconfitta. Vuole fermare l’arci-nemica alleandosi tecnicamente con un altro nemico, quell’odiata gauche comunistarda, immigrazionista e persino sospetta di antisemitismo contro cui negli anni ha fatto la voce grossa. Il suo ministro dell’Economia, Bruno Le Maire, ancora dopo l’annuncio della desistenza tra centristi e Nuovo Fronte Popolare, giudicava la France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon come “un pericolo per la Francia”.

Francia del “ni ni” fallita

Ad uscire macinato non è soltanto l’ego ipertrofico di Macron, bensì un intero progetto politico benedetto sin dagli inizi da quella tecnocrazia francese stanca di dover trattare con la democrazia. Intendiamoci, l’attuale presidente è un uomo democratico e si trova all’Eliseo dopo avere vinto nettamente due elezioni nel 2017 e nel 2022. Non c’è alcuna deriva autoritaria da denunciare riguardo alla sua ascesa al potere. A differenza della tecnocrazia italiana, che ha usato sempre la scorciatoia delle nomine di palazzo senza confrontarsi con il volere popolare, Macron è stato e resta a capo di un progetto squisitamente politico.

Ma la sua tendenza tecnocratica si evince dalla volontà di non confrontarsi con nessuna formazione tradizionale in Francia alla sua destra o alla sua sinistra. Egli è stato il sogno dei fautori del “ni ni”, di quelli che “né con la destra, né con la sinistra”. Un qualunquismo simil-grillino, che a Parigi ha assunto negli anni le sembianze dell’enfant prodige dell’establishment nazional-europeo. In virtù del suo europeismo gli sono state perdonate l’arroganza caratteriale che lo contraddistingue e l’assenza di confronto sia interna alla Francia che nell’Unione Europea.

Lo abbiamo visto di recente anche sulle nomine comunitarie.

Partiti tradizionali azzerati da qualunquismo di Macron

Macron ha scassato la democrazia francese, che prima di lui non se la passava bene. C’era grande stanchezza nell’elettorato per un’alternanza destra-sinistra senza risultati tangibili. Il superamento degli schemi è stato percepito come un abbattimento dello status quo. Ma il centrismo à la Macron ha prodotto più danni che benefici. Il gollismo di destra era stato la quintessenza della Quinta Repubblica, mentre il socialismo aveva rappresentato per molti decenni le classi popolari e intellettuali di Francia. Con Macron tutto questo è stato abbattuto nel nome del suo “ni ni”, perlopiù inconcludente, come abbiamo avuto modo di dissertare in queste settimane.

Dopo avere azzerato il Partito Socialista, ha azzerato anche i Repubblicani neo-gollisti. Tutti i vecchi leader sospettati anche solo di opporsi tenuamente all’Eliseo, sono letteralmente scomparsi. Si sono rafforzati quelle che i media definiscono “le ali estreme”, ma che a ben vedere propongono programmi e slogan non dissimili da quelli proposti dai partiti tradizionali fino a qualche decennio fa. Le Pen da una parte e Mélenchon dall’altra rappresentano il rifiuto del macronismo da due punti di vista contrapposti.

Macronismo al crepuscolo

Ma cos’è (stato) il macronismo? E’ nato senz’altro come un movimento politico di ispirazione liberale, riformatore, che voleva rendere la Francia più efficiente, meta dei capitali stranieri, meno ingessata burocraticamente, più aperta al business. Per questo ha ambito a rafforzare l’Unione Europea, percepita quale veste dietro cui schermare gli interessi nazionali insieme a quelli tedeschi. L’operazione non ha funzionato, perché le riforme sono state poche e timide e i francesi non hanno notato granché i benefici del nuovo corso. La destra detesta Macron per il suo sovranazionalismo che punterebbe a cancellare la francesità per favorire la tecnocrazia di Bruxelles.

La sinistra non gli perdona la volontà di smantellare lo stato sociale.

Il problema è che più i consensi di Macron si restringevano, più questi si chiudeva nell’Eliseo-bunker. Il dialogo con le altre forze politiche è stato inesistente. Il presidente si percepisce depositario di verità assolute e incontestabili. Frustrato dai risultati scadenti casalinghi, ha proiettato nel tempo la sua arroganza sui tavoli negoziali internazionali. Un po’ è il modo di fare francese di sempre, un po’ è psicologia dell’uomo. Ma se i tre quarti dei francesi ti vota contro, anche se ottieni la maggioranza relativa in Parlamento sarebbe naturale chiederti come allargare il consenso, non come cercare di fregare gli altri.

Francia a rischio caos

Da questa visione distorta della realtà sono state indette le elezioni anticipate, salvo scoprire che i francesi contrari alla propria politica sono saliti all’80%. Un presidente degno del suo ruolo, prenderebbe atto dei numeri e si preparerebbe ad unire la nazione attraverso la “coabitazione” con il futuro governo. Invece, Macron sta lacerando ulteriormente la Francia con scelte tecniche nei collegi, ancorché legittime, politicamente insensate. Il suo obiettivo ormai dichiarato è di impedire ad una parte politica di governare, generare l’impasse, trascinare Parigi nel caos per avere l’ultima parola anche sui suoi stessi sbagli. In gioco c’è la tenuta delle istituzioni nella seconda economia dell’Unione Europea. Da stella polare di Bruxelles, Macron è diventato una maledizione per tutti. Il solo a non rendersene conto è egli stesso.

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