In sette anni all’Eliseo, Emmanuel Macron si è guadagnato quasi trasversalmente nel panorama politico francese l’appellativo di “presidente dei ricchi”. Mancano pochi giorni al primo turno delle elezioni legislative, anticipate al 30 giugno dopo la disfatta dei centristi alle europee del 9 giugno. E proprio Macron sta cercando di sparigliare le carte con la proposta di una “tassa sui super ricchi”, che ricalca alla perfezione quella avanzata dal presidente brasiliano Lula. Strano cambio repentino di vedute per colui che sin dal suo ingresso in politica da ministro dell’Economia sotto la presidenza Hollande ha sempre sostenuto la necessità di tagliare le tasse per rendere l’economia francese più attrattiva e stimolarne la crescita.

Dibattito aperto al G20

La tassa sui super ricchi, stando all’EU Tax Observatory, globalmente farebbe introitare 250 miliardi di dollari all’anno. Si calcola che solamente Bernard Arnault, magnate francese del lusso e tra gli uomini più ricchi al mondo, dovrebbe sborsare ogni anno 4,2 miliardi in più a favore del fisco. Affinché una simile proposta abbia senso, tuttavia, servirebbe che la applicassero tutti gli stati al mondo o gran parte di essi. Ed è per questa ragione che se ne discute al G20, dove il Brasile spera di riuscire a convincere le altre grandi economie del pianeta. Campa cavallo, insomma!

Partito di Macron insegue destra e sinistra

La conversione di Macron a favore della tassa sui super ricchi cade non a caso a ridosso delle elezioni. La coalizione centrista che guida – Renaissance – è data solo terza nei sondaggi e con meno del 20% dei voti, scavalcata dal fronte popolare di sinistra al 29% e dal Rassemblement National di Marine Le Pen al 36%. Le speranze di sottrarre consensi a destra sono andate perdute. Da mesi l’Eliseo ci prova con il nuovo governo del giovane Gabriel Attal, ma senza riuscirvi. Per questo l’ultima carta da giocarsi sarebbe di spostarsi a sinistra su un argomento sensibile, al solo fine di attirare consensi dalla gauche e presentarsi come un’alternativa apprezzabile ai lepenisti.

E’ molto improbabile che la tassa sui super ricchi veda mai la luce. Essa colpirebbe i titolari di patrimoni miliardari con un’aliquota del 2%, ma finirebbe per distruggere questi ultimi, nonché metterli in fuga verso lidi più sicuri. Qualcosa di simile accadde nei decenni passati con la Tobin Tax. L’imposta sulle transazioni finanziarie avrebbe dovuto alimentare il gettito e ridurre la speculazione sui mercati, ma gli stati che l’adottarono compirono un passo indietro: raccolsero briciole in termini di gettito e le loro borse persero capitali in favore delle concorrenti. Un esempio lo offrì la Svezia, che l’aveva introdotta nel 1994.

Tassa super ricchi fumo negli occhi

Dunque, tassa sui super ricchi fumo gettato negli occhi dell’elettorato di sinistra per sperare di attirare il loro voto e fermare così l’avanzata di Le Pen. Una mossa insufficiente e tra l’altro tardiva. Se c’è un motivo per cui socialisti e comunisti si sentono mossi dalla voglia di mandare a casa Macron e il suo partito, è per disfare la riforma delle pensioni approvata lo scorso anno e l’allentamento della legislazione sul mercato del lavoro. Tratti identitari del programma centrista, che l’Eliseo cerca di coprire con un’operazione di maquillage propagandistica di secondo ordine. Anche per questo i mercati sono nervosi da settimane. Quanto sta accadendo può preludere a un riposizionamento nel senso più populista di tutti i programmi elettorali e di governo, compreso quello centrista. La vera sfida riguarda le elezioni presidenziali nel 2027 e per allora tutti i partiti vorranno presentarsi ai francesi con le credenziali di veri tutori dei ceti deboli contro le élite.

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