Un mercoledì di fuoco all’interno della maggioranza di centro-destra. E’ bastata una nota dei tecnici del Tesoro, approvata dal ministro Giancarlo Giorgetti, a scatenare la polemica. Sul Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) vi sarebbe la convenienza a ratificare la riforma, spiegano, perché ciò migliorerebbe il giudizio verso i titoli di stato italiani. Infatti, la riforma lancerebbe un messaggio di “coesione europea” dinnanzi alle crisi. In più, non ci sarebbero controindicazioni per l’Italia. Parole che hanno incontrato l’estrema irritazione della Lega, fortemente contraria alla ratifica e partito di cui fa parte lo stesso Giorgetti.

Neanche Fratelli d’Italia ha apprezzato e tramite la premier Giorgia Meloni ha fatto presente al ministro la propria sorpresa.

Ratifica MES e altri dossier europei

L’Italia è l’unico stato dell’Unione Europea a non avere approvato la riforma del MES. Essa prevede l’istituzione di un “backstop” per il Fondo di risoluzione unico a favore delle banche nel caso di crisi. Inoltre, semplifica il processo decisionale per i casi di rinegoziazione dei debiti sovrani. I creditori sarebbero chiamati ad esprimersi sulle condizioni rivisitate in un’unica assemblea (“single-limb“).

Il governo Meloni non vuole ratificare la riforma del MES prima di sapere quale sarà il nuovo Patto di stabilità. Intende usare la prima per trattare sul secondo. Tattica negoziale formalmente respinta da Bruxelles, dove i commissari fanno presente che i dossier sono e restano separati. Ma è evidente che i due s’intrecciano e possono consentire a Roma di spuntare condizioni migliori sulle regole fiscali. Commissione e Banca Centrale Europea (BCE) non vedono l’ora che il Parlamento italiano ratifichi il MES. Non ci sono novità dirompenti che giustifichino questo assillo, né crisi fiscali o bancarie in vista. Più semplicemente della ratifica se n’è fatta una questione ideologica. Bruxelles vuole segnalare di essere riuscita a mettere su un’istituzione capace di sventare le crisi.

Voto Parlamento rischioso per Bruxelles

Fosse per Giorgetti, avrebbe già firmato. La pressione su di lui è forte da parte dei colleghi europei ad ogni riunione. Pochi giorni fa, durante un vertice dei componenti del board del MES, agli altri ministri delle Finanze ha spiegato che in Italia non esiste ad oggi una maggioranza capace di ratificare la riforma. Con il gesto a sorpresa di questa settimana, egli ha reso evidente al resto d’Europa di avere ragione. Le polemiche sollevate dagli alleati hanno già fatto capire alle altre cancellerie che forzare sui tempi rischia di trasformarsi in un boomerang. Considerato che anche il Movimento 5 Stelle dall’opposizione resta contrario, se oggi si andasse ai voti in Parlamento ci sarebbero elevate probabilità di una bocciatura.

Paradossalmente, questo “incidente” nella maggioranza può rafforzare la premier Meloni durante il negoziato sul Patto di stabilità. Tuttavia, Giorgetti teme di perdere forza nelle trattative per la nomina del nuovo direttore generale della Banca Europea per gli Investimenti. La candidatura italiana è Daniele Franco, ex ministro dell’Economia del governo Draghi. E la BCE potrebbe farci le pulci quando in autunno con ogni probabilità Fabio Panetta si dimetterà da consigliere esecutivo dopo la nomina a governatore della Banca d’Italia. Il posto lasciato vacante dovrebbe andare ad un altro italiano (si parla di una donna), ma non esiste alcuna regola scritta e Francoforte potrebbe riservarci qualche cattiva sorpresa.

Manca scambio politico Roma-Bruxelles

La verità è che sul MES si sta giocando una partita più politica che altro. Meloni si rende conto che la ratifica prima o poi dovrà arrivare, ma spera di portare a casa prima compensazioni da “vendere” agli italiani. D’altra parte, ai commissari sta a cuore che l’Italia renda un “inchino” a Bruxelles, accettandone la riforma.

Il fatto è che sul piatto non c’è alcun “do ut des”. Il MES all’Italia non serve, perché se anche un giorno dovessimo avere bisogno di assistenza finanziaria, non sarebbe quello il modo di richiederla in emergenza. Serve al nostro Paese, invece, un Patto meno severo nelle automaticità. Non si tratta di avallare lo spandi e spendi romano, bensì di pervenire a una gestione ragionevole delle finanze statali senza che i mercati debbano tremare un giorno sì e l’altro pure per possibili frizioni tra Roma e Bruxelles. Solo la politica potrà trovare una soluzione. Ma la politica in Europa latita, nascosta dietro ai tecnici.

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