Qualcuno lo ha definito il “colpo del secolo”, di sicuro lo sarebbe al vecchio e stantio capitalismo italiano. Leonardo Del Vecchio, patron di Luxottica, ha chiesto alla BCE l’autorizzazione per salire fino al 20% di Mediobanca. La notizia sta terremotando la finanza tricolore, perché segna la fine di un delicato equilibrio tra gli azionisti stabili dell’ex banca di sistema, di cui Del Vecchio ha già rastrellato poco meno del 10% del capitale nei mesi scorsi, per cui gli basterebbe un altro mezzo miliardo per giungere all’obiettivo.

Su questi movimenti, però, si sono accesi i fari del Copasir, il comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, che da tempo vuole vederci chiaro su chi stia comprando e per quale fine.

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Mediobanca non è più quel salotto di Enrico Cuccia, in cui tutti i protagonisti del capitalismo italico si sedevano per concordare le loro manovre. In borsa capitalizza poco più di 5 miliardi, ma con il 12,89% controlla Generali, unico colosso assicurativo italiano, che sempre in borsa vale 4 volte tanto. E sul Leone di Trieste vi sono da anni le mire della Francia, specie di Axa. Vi chiederete cosa c’entri con Parigi l’italianissimo Del Vecchio. Anzitutto, egli ha fuso la sua Luxottica con la francese Essilor, per cui la sua storica creatura degli occhiali è diventata a tutti gli effetti italo-francese.

Secondariamente, ha rastrellato le azioni Mediobanca con l’ausilio della francese Natixis e adesso ne detiene il 10% attraverso la holding lussemburghese Delfin. Infine, a molti non è sfuggito che la salita di Del Vecchio nel capitale è giunta contestualmente all’uscita di Unicredit, che pure sembrava intenzionata in una fase iniziale a consolidarne il controllo sotto il ceo francese Jean-Pierre Mustier. Che sia stato un gioco d’intesa, forse anche per dare meno nell’occhio?

Lo spettro del “golden power”

Una cosa è certa: se Del Vecchio salirà al 20% lo deciderà la BCE, sulla base di una valutazione tecnicamente affatto semplice, perché l’operazione si configurerebbe in parziale conflitto d’interesse, essendo l’imprenditore anche azionista della controllata Generali con un pacchetto del 4,87%, secondo investitore privato più grosso dopo Caltagirone (5,11%).

A dover dare il via libera sarebbe l’authority guidata dall’italiano Andrea Enria, ma non dimentichiamo che l’Eutower risulta guidata dall’ottobre scorso dalla francese madame Christine Lagarde. Insomma, ce ne sarebbe per girare un film.

Il patto tra gli azionisti di Mediobanca ormai vale appena il 12,5% del capitale, venendo eventualmente surclassato dal 20% di Del Vecchio, il quale confermerebbe l’intenzione di sostenere l’ad Alberto Nagel nella sua posizione, ma al contempo reclamerebbe i due posti in cda che spettano ai consiglieri di minoranza. Se così fosse, non si capirebbe bene il rapporto tra il primo azionista e banca. Si consideri che, a fronte del 3,8% di Mediolanum, del 2,1% di Benetton e del 2% di Fininvest, il francese Vincent Bolloré possiede il 5,7% e il fondo americano BlackRock un altro 4,9%. Dunque, l’azionariato stabile straniero avrebbe la meglio.

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Non è scontato che tutto si risolva per il meglio a favore di Del Vecchio. Il governo avrebbe il potere di esercitare il “golden power”, il cui campo di applicazione è stato ultimamente esteso per difendere tutte le realtà italiane potenzialmente strategiche. E nel caso in cui l’operazione dell’imprenditore si rivelasse opaca negli obiettivi e/o nelle alleanze, a Roma qualcuno potrebbe chiedergli conto ed eventualmente dargli il benservito. Anche se non tutti, va detto, sono dell’opinione che il patron degli occhiali consegnerà Mediobanca ai francesi. A benedire la sua scalata vi è il professore Giulio Sapelli, economista d’impronta “sovranista”, secondo cui l’operazione consentirebbe, al contrario, di porre Generali al riparo dalle mire straniere.

Vedremo chi ha ragione.

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