Il 18 luglio è stata una data chiave per gli equilibri politici in Europa. Ursula von der Leyen ha ottenuto il bis come presidente della Commissione europea. E la premier Giorgia Meloni non l’ha votata. Da quel giorno si parla di un governo italiano isolato nelle istituzioni comunitarie, come era emerso con l’esclusione dalle trattative sui “top jobs” all’indomani delle elezioni europee. Ma la situazione si sta rivelando più magmatica di quanto non lasci intravedere il solo voto all’Europarlamento.

Boom di cariche per conservatori

Il gruppo dei conservatori (Ecr) capeggiato proprio da Meloni ha ottenuto 13 tra presidenze (3) e vice-presidenze. Di queste ultime, 6 sono andate ad esponenti di Fratelli d’Italia. E nei giorni precedenti, 2 erano state le vice-presidente dell’Europarlamento assegnate al gruppo, di cui una ricoperta da Antonella Sberna (FDI). Un bottino pesante, se si considera che nella scorsa legislatura i conservatori avevano ottenuto soltanto una presidenza al Bilancio e una vice-presidenza.

Interessante notare anche che per l’ottenimento di queste cariche si sono rivelati indispensabili i voti dei popolari, gli stessi che ufficialmente hanno confermato von der Leyen insieme a socialisti, liberali e Verdi. E a sinistra questo atteggiamento ambiguo non è passato inosservato, né è stato gradito. L’unico “cordone sanitario” a resistere ancora è quello istituito ai danni del gruppo dei Patrioti, di cui fanno parte tra gli altri Marine Le Pen e Matteo Salvini. Detto con tutta franchezza, un favore ai conservatori di Meloni. L’esclusione impedisce la concorrenza a destra e, soprattutto, ha consentito ad Ecr di ottenere più cariche di quelle che altrimenti avrebbe conquistato.

Fattore Trump a novembre

Cosa succede di preciso tra Meloni e von der Leyen? Il voto contrario della prima alla seconda ha fatto bene ad entrambe, checché ne dica la stampa nazionale. I voti di Fratelli d’Italia sarebbero stati ininfluenti dopo che von der Leyen si era garantito l’appoggio dei Verdi.

Tuttavia, se la premier avesse ufficializzato la posizione favorevole alla nuova Commissione, avrebbe creato un problema a sinistra per la tedesca. Il rischio di numerosi franchi tiratori pronti ad impallinarla sarebbe stato alto. Non è neanche detto che almeno parte dei 24 eurodeputati meloniani non abbia votato segretamente a favore. D’altra parte, una Meloni esterna alla Commissione conviene a Bruxelles nello scenario di una vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali di novembre.

Meloni-Ursula e il grande bluff

Se il tycoon batterà Kamala Harris, i rapporti tra Casa Bianca e Unione Europea piomberebbero ai minimi termini. Servirebbe un interlocutore considerato sufficientemente attendibile da entrambe le parti. E standosene ufficialmente fuori dalla maggioranza a Bruxelles, Meloni è già ritenuta credibile agli occhi del magnate americano. Vedremo se il commissario spettante all’Italia avrà una delega importante, degna del ruolo che ha l’Italia nel Vecchio Continente. Se sì, la conferma che il 18 luglio scorso vi è stato un bluff.

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