Inizia a prendere corpo la legge di Bilancio 2024, che conterrà le misure di politica economica più importanti dell’anno del governo di Giorgia Meloni. Le risorse a disposizione sono pochissime e le esigenze tantissime, comprese dei partiti della maggioranza di mettersi in luce alla vigilia delle elezioni europee. Le certezze sono la conferma del taglio al cuneo fiscale, l’accorpamento delle prime due aliquote Irpef e avanza sempre più l’ipotesi della “mini Ires”. La premier aveva sbandierato questa misura in campagna elettorale sotto lo slogan “più assumi e meno paghi”.

Imposta al 15% per chi assume lavoratori

L’Ires è l’imposta sui redditi delle società giuridiche e attualmente prevede il pagamento di un’aliquota del 24%. L’idea del governo consiste nell’abbassarla fino a un minimo del 15%, ma solamente a favore delle imprese che assumono nuovi lavoratori. La mini Ires servirebbe, dunque, a far pagare meno tasse agli imprenditori che favoriscono l’aumento dell’occupazione, con particolare riguardo a giovani, donne ed ex percettori del reddito di cittadinanza.

Le finalità appaiono senz’altro positive. Incentivare chi assume sembra una buona, anzi un’ottima idea per un’economia con un sommerso ancora stimato dall’Istat al 10,5% del PIL e in cui ci sono quasi 3 milioni di lavoratori in nero. Per non parlare della bassa occupazione. Seppure salita al record del 61,5%, resta di una decina di punti percentuali sotto la media europea e in fondo alle classifiche internazionali insieme a paesi come Grecia e Turchia.

Mini Ires strumento sbagliato per favorire assunzioni

Solo che la mini Ires rischia di essere lo strumento sbagliato. L’imposizione fiscale legata alle assunzioni interferisce con le decisioni dell’impresa in tema di scelta tra capitale e lavoro nell’impiego dei fattori produttivi. Qualsiasi impresa li combina nella maniera più efficiente possibile, cioè guardando ai relativi costi e all’utilità che possono apportare in fase di produzione.

Un incentivo fiscale per l’occupazione sposta gli equilibri a favore del lavoro e a discapito del capitale. Nell’immediato, porta all’aumento dei posti di lavoro, ma nel medio-lungo termine rischia di distruggerli.

Se la combinazione tra capitale e lavoro non è ottimale, l’impresa non si rivela efficiente e fatica a stare sul mercato in condizioni competitive. Più lavoro e minore capitale significa anche investire di meno dell’innovazione tecnologica, magari prediligendo al suo posto lavoratori poco qualificati e mal retribuiti. La mini Ires non è un’idea sbagliata in sé, ma non dovrebbe interferire con i processi decisionali dell’impresa. Sarebbe opportuno legarla anche ad eventuali investimenti in conto capitale, così da risultare il più neutrale possibile.

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